L’economia italiana tiene, ma resta stagnante: Pil poco sopra lo zero nel 2019 e sotto l’1% nel 2020. La ricchezza media pro-capite è ancora elevata, ma in lento declino con un aumento della distanza tra ricchi e poveri, nonché tra Nord e Sud, e della massa con salari insufficienti nonostante un elevato costo del lavoro, fatto che indica nel prelievo fiscale eccessivo in busta paga il problema impoverente. Il sistema, poi, mostra un’arretratezza diffusa sia culturale, sia nelle regole burocratiche che rallenta l’adeguamento tecnologico.
La disoccupazione resta al 10%, ma le aziende del Nord segnalano un fabbisogno scoperto di lavoratori specializzati di circa 500mila unità, impressionante la dichiarazione di Fincantieri che non trova ben 6mila addetti di cui avrebbe bisogno. La migrazione all’estero di persone con competenze evolute nell’ingegneria, medicina e altre discipline tecniche è crescente per la ricerca di salari migliori. Gli andamenti demografici mostrano la mancata sostituzione delle morti con nuove nascite, facendo prevedere uno squilibrio destabilizzante tra giovani attivi e anziani che già si nota in forma di minore spinta naturale alla crescita economica.
Mettendo insieme questi e tanti altri dati viene in mente una missione riparatrice sintetica: passare dallo Stato sociale “redistributivo” a quello di “investimento”. Significa prima di tutto lasciare più capitale nelle mani di chi lo moltiplica attraverso attività di impresa, riducendo le tasse. Una priorità parallela è allocare più risorse fiscali per la qualificazione del capitale umano potenziando sia l’istruzione iniziale, sia la formazione continua nel corso della vita, spostando le risorse dalle funzioni pubbliche non essenziali (sono possibili tra 30 e 40 miliardi) verso tale investimento.
In generale, si tratta di abbandonare la teoria delle “garanzie passive” – cioè che il mercato debba dare tutele e lo Stato ricchezza – per passare a quella delle “garanzie attive”: il mercato deve dare ricchezza e lo Stato politiche fiscali che permettano al primo di farlo, fornendo a più persone possibile un valore nel mercato stesso. Tale indirizzo dinamico delle risorse fiscali dalle tutele assistenziali all’investimento riparerebbe il sistema dandogli più potenziale di crescita.
Potrà la politica spingerlo? Oggi come oggi no, e si vede. Servirebbero un “progetto nazionale” riparatore e futurizzante nonché l’elezione diretta del potere esecutivo per realizzarlo.