Le prime bozze dello scenario economico 2020 mostrano che l’Italia potrà galleggiare, cioè restare stagnante nella tendenza di lento declino industriale visibile dai primi anni ’90, ma con una vulnerabilità crescente dovuta sia a turbolenze nel mercato globale, sia ad accelerazioni della rivoluzione tecnologica. Tale ipotesi è corroborata dalle misure di politica economica e fiscale che il Governo sta per varare: zero facilitazioni rilevanti per le imprese e il loro adeguamento tecnologico, complicate da rinvii ambigui di tasse che comunque bloccano nuovi investimenti in alcuni settori, quasi zero investimenti pubblici e aumento del prelievo fiscale che certo non aiuta i consumi interni. A cui si aggiunge la mancanza di misure “tagliadebito” non recessive, cioè senza tagli traumatici della spesa pubblica, come, per esempio, la valorizzazione, finanziarizzazione e vendita di una parte del patrimonio pubblico per ridurre il debito statale diminuendone i costi (ora tra i 60-70 miliardi anno) e ottenere un miglioramento del voto di affidabilità dell’Italia che avrebbe conseguenze positive sul ciclo del credito.
Questa mancanza è la più pericolosa perché rende l’Italia zona considerata poco sicura dal mercato finanziario internazionale, esponendola a deflussi di capitale in caso di turbolenze globali che inducano gli investitori a spostare i capitali verso aree stabili. In sintesi, per l’ennesima volta un Governo italiano non mette al centro della sua politica la crescita, né in priorità la reputazione del Paese risanandone la finanza pubblica.
È motivato quindi il pessimismo crescente rilevato in forma di incertezza per il futuro dalle ricerche demoscopiche? In realtà, il declino è lento perché l’impresa privata resta ancora forte. Non a sufficienza per contrastare l’effetto depressivo di un modello politico-fiscale di fatto anti-mercato, ma abbastanza robusta per tenere una maggioranza di italiani ancora in condizioni di ricchezza, pur decrescente. Paradossalmente, tale situazione incentiva la politica a drenare sempre più denaro dai privati invece che a modificare il modello economico per renderlo capace di stimolare un capitalismo socialmente diffuso che aumenti i ricchi e riduca i poveri, dando loro speranza futura.
Come? Semplicemente mettendo al centro delle attenzioni politiche i fattori che facilitano lo sviluppo competitivo delle imprese. Ma la politica le lascia sole: incomprensibile perché sono i “salvadanai magici” dell’Italia.