Alla fine è sceso in campo Mario Draghi per confermare che il whatever it takes che nel 2012 salvò l’Italia dalla speculazione in agguato è ancora valido a difesa della stabilità in Europa e dunque anche in Italia che, considerato l’alto ammontare del debito pubblico, beneficerà particolarmente della decisione di mantenere bassi i tassi d’interesse e di allungare di sei mesi il programma di iniezione monetaria conosciuto come Quantitative easing.



La determinazione è stata assunta dalla Banca centrale europea all’unanimità. E questo farebbe supporre che nessuna economia dell’eurozona oggi se la passa veramente bene e che l’aiutino di Francoforte in fondo fa piacere e serve a tutti i Paesi cui è rivolto, ciascuno alle prese con i problemi di casa propria e al generale rallentamento del commercio internazionale dovuto in buona misura al perdurante braccio di ferro tra Cina e Stati Uniti.



Come previsto, l’Italia si trova a fronteggiare una possibile procedura d’infrazione per eccesso di deficit (anche se la vera debolezza riguarda il debito troppo alto in rapporto al Pil). In pratica i nostri partner europei ci contestano di non aver tenuto fede alle promesse di rientro del passato e, quel che è peggio, di non aver approntato nessun piano credibile per il futuro al quale potersi aggrappare per evitare di mettere la questione sul tappeto e rinviare la discussione a tempi migliori.

Adesso i riflettori sono accesi e non sembra che la Commissione uscente, destinata a cambiare presto per via delle recenti elezioni europee, voglia o possa chiudere un occhio come qualcuno pure aveva sperato. Il Governo non può sottrarsi all’incombenza di spiegare dove e come intende trovare le risorse per rientrare nei ranghi comunitari e non mettere a rischio con la sua gestione espansiva (debito che si aggiunge a debito) l’intera costruzione europea.



Come tutti i commentatori hanno messo in evidenza, i programmi di Lega e Movimento 5Stelle – i cui leader sembrano aver trovato una nuova sintonia – sembrano fatti apposta per andare in direzione opposta alle raccomandazioni ricevute: Quota 100, Reddito di cittadinanza e adesso anche la flat tax richiedono infatti l’uso molte risorse che non sono in grado di generare crescita e quindi di spingere verso l’alto il Prodotto interno lordo.

La prospettiva, insomma, sembra essere quella di andare a produrre più debito e meno ricchezza anziché il contrario – meno debito e più ricchezza – come invece sarebbe necessario e il club dell’Europa si aspetta da noi. Siamo in un vicolo cieco? Sì, ma possiamo sempre invertire il senso di marcia. Siamo la seconda manifattura d’Europa e i fondamentali della nostra economia sono assai più solidi di quello che s’immagina. E abbiamo un enorme potenziale inespresso.

E allora? E allora basterebbe usare le poche risorse che abbiamo a disposizione e il minimo di flessibilità che potremo ottenere dall’Europa per sviluppare investimenti produttivi al posto delle spese correnti di sapore assistenziale oggi previste. Per queste c’è tempo, una volta rimessi in equilibrio i conti e riconquistata la fiducia dell’Unione e dei mercati. Insomma, per uscire dal vicolo basta andare verso la luce e non verso il buio più buio della parte cieca.

Naturalmente dovremmo evitare nel frattempo di farci male da soli lanciando segnali di equivoca interpretazione come il lancio di mini-Bot – prontamente bocciato da Draghi – o mostrando disprezzo per un indicatore della buona salute di un Paese come lo spread il cui aumento penalizza famiglie, imprese e lo stesso Stato. La buona notizia, dunque, è che una soluzione esiste. La cattiva che non si percepisce ancora la volontà di perseguirla.