Una generazione di donne deluse da medici riluttanti a discutere dei possibili danni dei rapporti anali. È questo il giudizio lapidario espresso da un editoriale scritto da Tabitha Gana e Lesley M Hunt, pubblicato sul British Medical Journal. Sempre più comuni tra le coppie eterosessuali, questi rapporti sono in aumento in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Nel primo caso, il National Survey of Sexual Attitudes and Lifestyle evidenzia che tra i giovani eterosessuali tra 16 e 24 anni è stato registrato un incremento dal 12,5% al 28,5% nel corso degli ultimi decenni. Tendenza simile in Usa, dove il 30-44% degli uomini e delle donne riferisce di aver avuto esperienze di sesso anale. Le ragioni sono diverse. Fino al 25% delle donne che lo hanno sperimentato affermano di aver subito pressioni almeno una volta. Da non trascurare poi l’influenza delle serie tv.



«I programmi televisivi di successo, come Sex and the City e Fleabag, possono inconsapevolmente aumentare la pressione, in quanto sembrano normalizzare il sesso anale nei rapporti eterosessuali o farlo apparire audace e spinto». Ma si tratta di un rapporto sessuale a rischio. «L’assenza di secrezioni vaginali, l’aumento delle abrasioni traumatiche e l’uso meno frequente del preservativo aumentano il rischio di malattie sessualmente trasmissibili e di neoplasie anali. Anche il dolore anale, il sanguinamento e le ragadi si verificano in seguito ai rapporti anali», riporta l’editoriale su BMJ.



SESSO ANALE IN AUMENTO MA SILENZIO SU RISCHI

Questa analisi segnala che è stato registrato anche «un aumento dei tassi di incontinenza fecale e di lesioni dello sfintere anale». Le donne sono più a rischio degli uomini a causa della loro diversa anatomia («hanno sfinteri anali meno robusti e pressioni del canale anale più basse rispetto agli uomini»), ma anche per gli effetti di ormi, gravidanze e parto. Se in tv i rapporti sessuali di tipo anale vengono normalizzati, la situazione è differente nella realtà quotidiana, dove è difficile reperire informazioni, ma anche diffondere. «I medici possono rifuggire da queste discussioni, influenzati dai tabù della società. Tuttavia, con una percentuale così alta di giovani donne che praticano sesso anale, non parlarne quando presentano sintomi ano-rettali espone le donne a diagnosi mancate, trattamenti inutili e ulteriori danni derivanti dalla mancanza di consulenza medica». Non solo c’è un problema di educazione alla salute pubblica, che è carente, ma anche il timore di essere additati come omofobi.



“MEDICI TEMONO ACCUSE DI OMOFOBIA”

«Potrebbe non essere solo lo stigma a impedire agli operatori sanitari di parlare alle giovani donne dei rischi del sesso anale. C’è una reale preoccupazione che il messaggio possa essere visto come giudicante o addirittura frainteso come omofobico». Così però le donne vengono private di informazioni importanti per la loro salute. Con una consapevolezza maggiore possono proteggersi da eventuali danni o sentirsi più legittimate a rifiutare questo tipo di rapporti sessuali. «La riluttanza a parlare di sesso anale non è limitata al settore sanitario», ha rimarcato il British Medical Journal. Si fa l’esempio della Scozia, dove il governo è finito nel mirino delle critiche per la proposta di includere domande sul tema nel censimento della salute e del benessere delle scuole. Ma il primo ministro Nicola Sturgeon ha dimostrato di aver colto il focus della questione: «O possiamo nascondere la testa sotto la sabbia e far finta che i giovani non siano esposti ai problemi o alle pressioni a cui sappiamo che sono esposti o possiamo cercare di comprendere adeguatamente la realtà che i giovani si trovano ad affrontare e fornire loro le indicazioni, i consigli e i servizi di cui hanno bisogno per prendere decisioni sicure, sane e positive».