Secondo la scrittrice Letizia Pezzali uno dei problemi maggiori dell’età contemporanea è la pretesa di avere un rischio “calcolato” su qualsiasi tema: dall’emergenza Covid al vaccino, dal lavoro alla scuola, dalle imprese nello spazio (come le ultime di Bezos e Branson) fino anche ai singoli rapporti familiari e umani. Un “rischio calcolato” è una sorta di utopica illusione, racconta la scrittrice nell’editoriale in prima pagina del “Domani”: lo spunto è offerto dalla cronaca di tutti i giorni, quando frasi come “rischio calcolato” o “rischio zero” si sentono pronunciare da persone e categorie anche più diverse tra loro.
«Abbiamo una paura eccessiva e quasi irrispettosa della morte, nutriamo l’ossessione per la messa in sicurezza»: quanto sostenuto dalla Pezzali non va molto distante da quanto solo la scorsa domenica sul “La Verità”, lo psicanalista Claudio Risé sottolineava come emerga sempre più spesso la pretesa della scienza di “sostituirsi” a Dio, deludendo però enormemente le aspettative “messianiche” che vengono riposte in questo periodo di pandemia. «Il rischio zero non esiste», spiegava Risé e non si può pensare di costituire una società basata sulla piena assenza di rischio nella quotidianità.
L’ILLUSIONE DI UN RISCHIO ZERO
Non illudersi su rischi “calcolati” non significa certo andare in contro al pericolo senza alcuna remora: osserva ancora Letizia Pezzali, «il rischio è la combinazione di tre elementi che devono essere presenti in contemporanea, ovvero minaccia, vulnerabilità e conseguenze». È chiaro, rileva la scrittrice, che ogni possibile minaccia può essere sì studiata ma resta un fattore esterno incontrollabile: in merito alla vulnerabilità, anch’essa è tema dibattuto anche perché spesso si sente ripetere anche negli ambienti culturalmente più nobili, che occorre «accettare le fragilità, accogliere le nostre paure». Vale per il Covid questo discorso, ma non solo, come conclude Pezzali riferendosi alla frase che una persona le ha sussurrato negli scorsi giorni: «a breve Jeff Bezos potrebbe essere morto», essendo impegnato nell’impresa del primo razzo nello spazio con equipaggio “turistico”. Il rischio di morire nella navicella ma anche la fragilità che contraddistingue la flebile esistenza umana: occorre ripensare la propria pretesa di calcolare e controllare tutto, senza per questo non rimanere turbati e irrequieti di fronte alla delicata esperienza del vivere.