Alla fine le tanto vituperate norme contro media e Ong considerati di influenza straniera perché finanziati per più del 20% dall’estero sono state ritirate. Ma la Georgia è ancora una polveriera e il pericolo che diventi una seconda Ucraina rimane lì, in un Paese in cui la presenza americana, sotto diversi punti di vista, si fa sentire.
E che rappresenta uno dei punti di pressione sulla Russia proprio da parte degli Usa. Lo spiega Fabio Mini, già capo di stato maggiore del comando Nato per il Sud Europa e comandante delle operazioni Nato di pace in Kosovo.
La legge sugli agenti stranieri è stata ritirata. Oltre alle proteste di piazza ci sono state prese di posizione degli americani contro queste norme considerate filorusse. Che partita si gioca in Georgia tra Washington e Mosca?
Intanto la Georgia è unita a doppio filo alla questione ucraina, perché già nel 2008 per entrambe si era parlato della loro adesione alla Nato. Quella della Georgia è una vecchia questione e la legge sulle interferenze straniere, o sugli agenti stranieri che dir si voglia, è solo un’etichetta da dare a un’operazione che il Governo pensava di poter fare, magari proprio su suggerimento della Russia, contro le organizzazioni “internazionali” che stanno lì e rimestano. Non dico che le organizzazioni internazionali siano tutte alimentate dagli Stati Uniti, ma gli Usa sono in Georgia da tempo.
Da quando?
Io ero lì nel 2001 e un intero piano dell’albergo dove mi trovavo era occupato da agenti e apparati di ascolto satellitari degli Stati Uniti. E l’allora presidente Saakashvili era sostenuto in maniera molto forte dagli Usa. Era collegato con le organizzazioni non governative che fanno parte del mondo religioso protestante, molto attive negli Stati Uniti. Aveva anche passaporto ucraino e dopo che è stato mandato via è andato in Ucraina, ha fatto addirittura il presidente di un Oblast.
Dunque la presenza degli Usa è indubitabile.
Il filo che collega Ucraina, Stati Uniti, Georgia, Russia è talmente evidente che non deve sorprendere che ci siano tentativi da parte del Governo, su pressione russa di sicuro, per mettere un freno a queste interferenze. Solo che il Governo georgiano non si rende conto di quanta presa abbiano queste organizzazioni sulla popolazione di Tbilisi, non diciamo della Georgia ma della città sì; organizzazioni che ricevono fondi e fanno quello che vogliono.
Gli americani sostengono la Georgia anche in altro modo, per esempio dal punto di vista economico?
Certo, hanno dei programmi di aiuto alla Georgia. Quando nel 2008 c’è stata la questione dell’Ossezia del Sud gli Usa hanno provato a dare un sostegno anche dal punto di vista militare, ma così avrebbero mandato all’aria il Mar Nero, il Mediterraneo e la Russia meridionale. La Nato e soprattutto gli Stati Uniti in quel momento si sono un po’ frenati, anche perché c’era una questione di giurisdizione internazionale: i russi nell’Ossezia del Sud stavano conducendo un’operazione di “peacekeeping” per salvaguardare la minoranza russofona. Comunque gli Usa mandarono un paio di navi nel Mar Nero.
Perché secondo lei il progetto di legge alla fine è stato ritirato?
Il Governo georgiano è stato colto di sorpresa dalla reazione della gente. Il che è una conferma dell’influenza delle organizzazioni che la legge voleva ostacolare: sono veramente potenti.
Il Governo che posizione ha? È filorusso o cerca di mantenersi in equilibrio tra Usa e Russia?
Non è un Governo filorusso; se lo fosse, gli americani in Georgia non ci sarebbero. È un Governo che, come altri Paesi intorno alla Russia, non può fare a meno di subire le pressioni di Mosca, né geograficamente, né politicamente e neppure economicamente.
I russi deve almeno starli ad ascoltare.
Sì, deve starli ad ascoltare e poi sta nella capacità di ragionamento dei leader capire che cosa si può fare senza buttare benzina sul fuoco.
Alcuni hanno paragonato questa protesta al Maidan del 2014 in Ucraina. C’è il rischio che Tbilisi segua le stesse orme di Kiev e ci ritroviamo una guerra anche lì?
Questo è un rischio concreto, reale. La popolazione vuole entrare nell’Unione Europea e non vuole soprattutto che vengano penalizzate queste organizzazioni internazionali, questo è legittimo. Ma il rischio è proprio quello, che non solo avvenga una nuova Maidan, ma che la Nato si metta in moto.
Cosa potrebbe succedere?
Facciamo un’ipotesi che considero ancora non molto concreta, un po’ campata in aria, ma comunque da prendere in considerazione: se per caso oggi il Governo georgiano entrasse in crisi e la sospensione della legge non bastasse a placare le proteste (e secondo me non basterà, anzi, andranno avanti parecchio perché sono alimentate bene e in più c’è tutto il supporto di quella coalizione internazionale contro la Russia per l’Ucraina che diventa contro la Russia per la Georgia) si aprirebbe un altro campo di battaglia. Se il Governo si trovasse in crisi e facesse per caso un riferimento alla Russia con una richiesta di aiuti, anche attraverso la piccola fascia dell’Ossezia, in quel caso ci sarebbe uno scenario quasi identico a quello dell’Ucraina. La stessa situazione c’è in Transnistria.
La Georgia è solo un tassello di un piano più grande?
La pressione degli Usa sulla Russia ha la punta in Ucraina, ma riguarda poi tutto ciò che circonda la Russia, a partire dal Baltico, dalla Svezia e dalla Finlandia, fino alla Polonia e alla Moldavia. E ora anche il Caucaso, anche se non è una cosa nuova. Sappiamo tutti che è un fronte a rischio dal 2001.
Ma che cosa vogliono veramente gli Usa con questa azione nei confronti della Russia, qual è l’obiettivo?
Sono stati gli stessi americani a dire che cosa vogliono, non penso ci siano dubbi su questo. Quando Austin (segretario alla Difesa Usa, nda) parla di depotenziare la Russia, vuol dire che l’obiettivo strategico è annullare tutti gli elementi di potenza di quel Paese, che non sono solamente militari ma anche economici e finanziari: vedi le sanzioni. Questo depotenziamento passa necessariamente dalla creazione di una zona di insicurezza, di destabilizzazione, tutto intorno alla Russia. Questo è quello che hanno detto.
Ma la Russia è una minaccia per noi?
Se c’è qualcuno lo nega sostenendo che in realtà l’Occidente si difende dalla minaccia russa, mi devono spiegare dove appare questa minaccia. Ancora una volta si conferma una regola fondamentale di queste guerra: si fanno ipotesi, supposizioni sulla natura della minaccia e poi le si amplifica a dismisura, per cui alla fine la Russia minaccia l’intera Europa, vuole invadere l’Ucraina e l’Europa fino alla Manica: questo sapevamo. Noi sappiamo che oggi ci stiamo difendendo tutti da questa Russia.
Cosa non quadra in questa versione?
È un’esagerazione fatta apposta per la comunicazione di guerra. Poi ci si rende conto che i russi le forze non le hanno: sono arrivati fino a un determinato punto e non vanno avanti, non vogliono e non possono andare avanti. E allora si canta vittoria: “Hai visto, volevano venire fin da noi ma li abbiamo fermati”. È tutta una montatura, non è così. Questo, comunque, funziona anche dall’altro punto di vista, quello russo.
Il problema è che anche le armi atomiche entrano in questa partita…
Austin si è lasciato scappare, ma questo è stato confermato anche da Biden, che bisogna depotenziare la Russia, neutralizzarla, anche se non so come faranno a neutralizzare 6mila testate nucleari. Gli Usa insieme a tutto l’Occidente stanno usando questa retorica della minaccia incombente per potenziare ancora di più la minaccia contro la Russia. È un gioco a due parti in cui ha molta importanza la guerra psicologica e la guerra di destabilizzazione, la destabilizzazione proprio fisica, che porta a sommovimenti, rivoluzioni, cambi di Governo.
La Russia, invece, come si sta comportando nei confronti della Georgia? Vorrebbe un Governo filorusso o magari pensa di intervenire anche in modo più pesante?
Non credo proprio che la Russia voglia cambiare Governo, perché questo esecutivo finora non ha dato molto fastidio a Mosca. Lo dimostra anche il fatto che avevano accettato di fare la stessa cosa che aveva fatto la Russia, la legge sugli agenti stranieri va in parallelo con quello che aveva fatto la Russia sul suo territorio. Non credo che vogliano cambiare il regime in Georgia, vogliono semmai un Paese che non sia strumentalizzato dagli Stati Uniti o dall’Occidente.
Molti dei suoi capi di un tempo sono venuti da lì.
A parte Stalin che era georgiano, anche Shevardnadze (protagonista della stagione di Gorbaciov, nda) era un pilastro della politica sovietica. C’è rispetto, sensibilità nei confronti della Georgia.
(Paolo Rossetti)
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