Dannata pandemia! La botta c’è stata, i rimbombi si scorgono: l’economia globale sta entrando in una terra incognita? Sì, questa volta tocca all’incognita dell’inflazione; dopo un decennio di preoccupazioni per una domanda e un potere di spesa inadeguati, all’indomani della crisi finanziaria globale, stanno ora emergendo segnali di offerta insufficiente.



La mancanza di beni, servizi e persone significa che la domanda viene soddisfatta sempre più lentamente o per niente. Ci sono già segnali che le strozzature dell’offerta potrebbero portare a brutte sorprese fino a sconvolgere la ripresa post-pandemia. Da nessuna parte le carenze sono più acute che in America, dove è in corso un boom. La spesa dei consumatori sta crescendo di oltre il 10% a un tasso annuo, poiché le persone mettono in pista i 2 trilioni di dollari di risparmi extra, accumulati nell’ultimo anno.



Cavolo, però, mentre la domanda in forte espansione si scontra con l’offerta limitata, l’inflazione sembra farsi strada. Ad aprile i prezzi al consumo americani sono aumentati del 4,2% su base annua, dal 2,6% di marzo. Le banche centrali non ci stanno e insistono sul fatto che il loro stimolo monetario deve continuare per non mettere a repentaglio la nascente ripresa. Jerome Powell, il presidente della Fed, vede poche ragioni per preoccuparsi. Verrà tollerata per un po’ un’inflazione al di sopra dell’obiettivo, in parte perché si aspetta che i prezzi scendano presto.



Toh, vuoi vedere che ‘stavolta i banchieri centrali ci pigliano? Sì perché co’ ‘sto malCovid-19 si son messi in piedi gli accrocchi che non possono aver arrestato i danni economici: nel 2020, in Italia, sono stati persi quasi 2.000 euro di consumi pro capite, il dato emerge dal rapporto Confcommercio-Censis sui consumi delle famiglie; l’indice di fiducia dei consumatori elaborato dall’Università del Michigan si è ridotto del 6,2% a quota 82,8 punti a maggio.

Si, vabbè ma questi sono i riflessi di una contingenza…. che non ti raccapezzi; quelli delle banche centrali conoscono invece i fatti strutturali che s-governano l’economia dei consumi; le hanno provate tutte per reflazionare il mercato e rintuzzare la deflazione senza riuscirvi granché. Lael Brainard, membro del consiglio dei governatori della Fed, va dritto al sodo: dice che il recente aumento dell’inflazione, in alcuni settori dell’economia degli Stati Uniti, dovrebbe indebolirsi una volta che i prezzi si saranno allontanati dai minimi raggiunti all’inizio della pandemia e gli squilibri temporanei tra domanda e offerta saranno riassorbiti.

Fiuuu, lui sa. Già… ma cosa? Beh, che la crescita dovrà continuare a doversi fare con la spesa, pur di fronte a una capacità produttiva sovradimensionata e all’affrancamento dal bisogno (affrancamento che segna il discrimine tra opulenza e penuria) e che, a fronte di questo, lo stampare moneta resta l’obbligo di ruolo della Fed non per fare inflazione, al contrario, per sventare quella deflazione che, rifocillando il potere d’acquisto, fa fare più spesa.

Et voilà, così un altro paradosso viene servito a un mondo che si adegua impiegando la moda, il marketing, la pubblicità, il credito al consumo persino le merci “usa e getta” per fare reflazione; tutto, non per far salire i prezzi, per non farli scendere… alla faccia dell’inflazione!

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