Dopo la riunione del board della Bce di settimana scorsa, c’è attesa per l’appuntamento di domani quando a parlare sarà Jerome Powell, numero uno della Fed. Le mosse delle Banche centrali vengono analizzate con molta cura in questo periodo, per ragioni diverse sulle due sponde dell’Atlantico. Negli Stati Uniti, si cerca di capire se un probabile rialzo dell’inflazione porterà a un incremento dei tassi, mentre in Europa l’attenzione è concentrata sul programma di acquisto di titoli di stato Pepp, non particolarmente gradito in alcuni settori della Germania e di altri Paesi “frugali”. Abbiamo fatto il punto della situazione con Massimo D’Antoni, Professore di Scienza delle finanze all’Università di Siena.



Partiamo dalla riunione del board della Bce di giovedì scorso. A leggere i giornali sembrerebbe che Lagarde abbia annunciato un “potenziamento” gli acquisti di titoli di stato. È così? Una “vittoria” delle colombe sui falchi?

Quanto annunciato in conferenza stampa della presidente Lagarde va in questa direzione: un aumento degli acquisti nel secondo trimestre rispetto a quello precedente. Tuttavia, ho visto che alcuni analisti, di quelli abituati a passare al microscopio questo tipo di dichiarazioni, si stanno interrogando sul significato da dare ad alcune dichiarazioni, che appaiono non così nette e farebbero dunque pensare a qualche divergenza in seno al Consiglio direttivo dell’istituto di Francoforte. Un autorevole commentatore, Wolfgang Münchau, rileva che rispetto a Draghi, Lagarde sembra meno incline a imporsi sul Consiglio direttivo, e ritiene probabile che i contrasti sulla linea da tenere possano presto farsi sentire. Del resto, l’annuncio di una ripresa del ritmo degli acquisti arriva con qualche settimana di ritardo rispetto alle attese.



Secondo quanto riportato da Die Welt, nei giorni scorsi un gruppo di imprenditori e professori universitari tedeschi ha presentato ricorso alla Corte costituzionale contro il Pepp. C’è il rischio, già corso in passato, che la Corte di Karlsruhe possa inficiare l’azione della Bce?

Finora iniziative del genere sono sempre state respinte con una certa facilità, anche perché la posizione di chi obietta all’azione della Bce non è la posizione del Governo tedesco, ma solo di alcune frange che incarnano un punto di vista in qualche modo estremo. Resta tuttavia una spada di Damocle, un richiamo al fatto che i trattati non autorizzano la Bce a fare ciò che vuole, ci sono dei paletti che la sua azione non dovrebbe varcare. Ricordiamo che, per essere coerente con la missione della banca centrale, il Quantitative easing è stato ufficialmente giustificato come strumento per perseguire obiettivi di politica monetaria, anche se sappiamo bene che i suoi effetti vanno ben oltre tali obiettivi, perseguendo finalità che, in base alle regole europee, esulano dalle competenze della Bce.



La Commissione europea ha intanto ufficializzato la sospensione del Patto di stabilità anche per tutto il 2022. Questo vuol dire che la Bce dovrà portare avanti le sue politiche accomodanti oltre quella data?

Sia la sospensione del Patto di stabilità che l’azione della Bce sono giustificati dalla situazione emergenziale. Il conflitto tra falchi e colombe, ma io direi più correttamente tra visioni diverse su come dovrebbe essere condotta la politica economica nell’eurozona e nell’Ue, tornerà prepotente quando l’emergenza cesserà. Intanto la tregua sul Patto di stabilità continuerà per tutto il 2022.

Il vicepresidente della Commissione Dombrovskis ha detto che i Paesi ad alto debito (tra cui l’Italia) dovranno “essere molto seri su come o dove spendono i loro soldi”. Questo può creare dei problemi al nostro Paese?

Mi auguro che il Governo italiano agisca con serietà indipendentemente da quello che dice Dombrovskis e dal fatto che il debito sia alto o basso.

La Bce sembra voler mettere in campo nuovi strumenti che facilitino la transizione ecologica e Dombrovskis non esclude che gli investimenti green dei Paesi membri possano essere scorporati dal deficit. Queste scelte aiuterebbero l’Italia?

L’idea di scorporare gli investimenti dal deficit è tutt’altro che nuova. Da sempre si critica l’impianto delle regole europee in quanto non distingue tra spese correnti e spese di investimento. Meglio del pareggio sarebbe l’adozione della cosiddetta “Golden rule”, ovvero un limite sulle sole spese correnti. L’obiezione di chi non la vuole è che al di là della classificazione contabile non è ovvio quali spese siano un investimento (ad esempio, la scuola è spesa corrente ma i suoi effetti sono quelli di un investimento sul futuro) e l’adozione di una distinzione tra i due tipi di spesa aprirebbe spazio per riclassificazioni creative. D’altra parte è ormai evidente che le regole fiscali hanno penalizzato proprio gli investimenti pubblici, perché di fronte alla necessità di contenere il deficit sono le voci di spesa più facilmente rinviabili. L’ha detto con nettezza anche l’European fiscal board. Tutto questo per dire che l’esclusione degli investimenti “green” suggerita da Dombrovskis è una cosa positiva ma del tutto insufficiente.

Da alcune settimane si parla di rischio inflazione. Semmai si concretizzasse, che effetti potrebbe avere sull’azione delle Banche centrali, sulle finanze pubbliche italiane e sulla vita dei cittadini?

Il tema è molto dibattuto negli Stati Uniti, dove c’è stata anche una presa di posizione del Presidente della Federal Reserve, che ha di fatto annunciato di voler mettere in secondo piano l’obiettivo di contenimento dell’inflazione a fronte della necessità di sostenere e rilanciare dell’occupazione; è arrivato a dire che, dopo anni di inflazione al di sotto del 2%, non sarebbe un problema superare per un po’ tale limite. Ma ricordiamoci che negli Stati Uniti è stato varato un piano di stimolo fiscale di dimensioni molto maggiori di quello che abbiamo avuto in Europa. Inoltre, molte analisi considerano improbabile che possa innescarsi un aumento dell’inflazione, in quanto quella che stiamo attraversando si è rivelata una crisi di domanda più ancora che di offerta. C’è molta capacità inutilizzata, soprattutto nel settore dei servizi, e siamo ben lontani dal livello di piena occupazione che potrebbe determinare spinte sui prezzi. 

Un aumento dell’inflazione si è registrato anche in Europa…

Il modesto incremento dell’inflazione registrato in Europa sembra legato a un aumento dei prezzi delle materie prime e potrebbe anche rafforzarsi nei prossimi mesi per effetto delle manovre sull’Iva in Germania, ma mi convincono le analisi di coloro che escludono il rischio di una significativa ripresa dell’inflazione nel prossimo futuro. Il vero pericolo è semmai che piccoli segnali di aumento forniscano argomenti a chi vorrebbe un’interruzione dell’azione espansiva della Bce. La percezione del rischio inflazione, che in alcuni ambienti continentali è quasi un’ossessione, è proprio uno dei punti sui quali potrebbe emergere un conflitto nel consiglio direttivo della Bce. 

(Lorenzo Torrisi)

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