Torna sui mercati l’allarme relativo al rialzo dei rendimenti dei titoli di stato dovuto al rischio inflazione dopo che Jerome Powell ha ammesso che ci sarà un po’ di pressione al rialzo sui prezzi, anche se temporanea. Il Presidente della Federal Reserve ha fatto capire che la Banca centrale americana non intende al momento rivedere la propria politica monetaria. Il Governatore della Banca di Francia, Francois Villeroy de Galhau, ha invece definito ingiustificati i recenti aumenti dei rendimenti dei titoli di stato e ha spiegato che la Banca centrale europea potrebbe utilizzare l’attuale piano di acquisto Pepp per calmierare la situazione. Posizione condivisa anche da Fabio Panetta, membro del Consiglio direttivo dell’Eurotower. Alla vigilia delle imminenti riunioni delle principali Banche centrali globali (tra una settimana toccherà alla Bce, mentre quella successiva alla Fed), come ci spiega Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, il rischio di una fiammata inflattiva effettivamente c’è, «ma questo non vuol dire che per forza si concretizzerà. Non bisogna essere allarmisti, ma occorre comunque prestare molta attenzione e non farsi trovare impreparati».
A cosa è dovuto essenzialmente questo rischio?
C’è una grande quantità di moneta parcheggiata sui conti correnti, che non viene spesa per motivi comprensibili: c’è ancora paura, ci sono timori di un aumento dei contagi, senza dimenticare le preoccupazioni relative alla recente influenza aviaria H5N8 che in Russia ha fatto registrare casi di trasmissione all’uomo. Se però il piano vaccinale procederà bene e a maggio la curva dei contagi tornerà stabilmente sotto controllo sarà naturale pensare alle vacanze. Ci sarà una corsa a prenotare treni, voli, alberghi, agriturismi, ecc. E per quanto il settore possa farsi trovare pronto, c’è il pericolo di un eccesso di domanda rispetto all’offerta.
A quel punto cosa potrebbe succedere?
Qualcuno potrà rinunciare o rivedere i propri piani, ma ci sarà anche chi sarà disposto a spendere di più pur di poter andare in vacanza. Potremmo quindi vedere un aumento dei prezzi che poi, se dal punto di vista sanitario tutto continuerà ad andare bene, dopo l’estate si farà sentire anche nel resto dell’economia.
In che modo?
I negozi in questo momento non stanno ordinando capi per la nuova stagione autunno/inverno, visto che ne hanno ancora di invenduti dalla precedente, ma se non ci saranno le restrizioni e tornerà la voglia di fare acquisti, magari per comprarsi abiti da sfoggiare in occasioni che finora erano precluse, c’è il rischio di una mancanza di beni rispetto della domanda. Anche qui, quindi, i prezzi potrebbero salire. Lo stesso può dirsi per bar, ristoranti e tutta la filiera agroalimentare che c’è dietro. Senza dimenticare le materie prime, anche energetiche, nel caso a livello internazionale si registrasse lo stesso fenomeno.
Si potrebbe quindi vedere un aumento dell’inflazione. A quale livello si potrà ritenere la situazione effettivamente rischiosa?
Se la risalita si fermerà entro un margine del 3-3,5%, non ci sarà alcun serio pericolo. Se invece salisse in quel range che noi economisti riteniamo particolarmente sensibile tra il 3,5% e il 4,5% e non si fermasse, ci sarebbe il rischio di una rapida impennata al 6-7%.
A quel punto le banche centrali dovrebbero intervenire alzando i tassi di interesse dopo che per sostanzialmente dieci anni li hanno tenuti a zero?
Sì e potremmo ritrovarci, come ad esempio negli anni ’70, in una situazione di stagflazione, con un’inflazione in salita e un’economia ancora convalescente dato che dovrebbe crescere del 6-7% per tornare ai livelli precedenti la pandemia. Il vero pericolo di una situazione di questo tipo è che quando si toccano all’insù i tassi di interesse, immediatamente le scelte di investimento vengono riviste e se per contenere il rialzo dell’inflazione ci fosse un rialzo repentino dei tassi chi farebbe più investimenti divenuti di colpo più onerosi?
Ci sarebbe anche un effetto sui bilanci pubblici, visto che i rendimenti dei titoli di stato salirebbero e quindi il rifinanziamento del debito diventerebbe più oneroso…
Sì, anche se c’è da da dire che gli effetti si vedrebbero sul medio lungo termine, mentre invece la perdita di valore dei titoli di stato sarebbe immediata. Questo andrebbe a incidere in particolar modo sui bilanci delle banche che ne sono detentrici, diminuendone anche la capacità di erogare credito. E questo sarebbe un serio pericolo. Si possono fare interventi mirati, non siamo totalmente privi di contromisure contro questi rischi.
Quali sono le contromisure che si possono adottare?
Bisognerà fare molta attenzione ai primi segnali, cercando di intervenire in maniera flessibile per evitare che il rialzo dell’inflazione superi la soglia del 3,5%. Se si riesce a farlo nel modo giusto, senza che si creino tensioni sui mercati, si può anche favorire un riequilibrio della situazione determinato dalla ripresa della produzione da parte delle imprese e a un conseguente aumento dell’offerta. Si possono anche preparare misure legislative per far in modo che le banche non vadano subito in sofferenza in caso di svalutazione dei titoli di stato in loro possesso o per fare in modo che l’erogazione del credito non subisca contraccolpi. Bisognerà credo anche decidere sul momento, e con rapidità, in base ai segnali che arriveranno.
Come dobbiamo prendere quindi i segnali tranquillizzanti che arrivano oggi dalle Banche centrali sul livello di inflazione atteso e sulle politiche che metteranno in atto?
Dobbiamo essere coscienti che si esprimono pubblicamente su quella che è la situazione attuale. E proprio perché nel mondo del denaro le cose possono cambiare molto rapidamente, tanto più in un momento come quello attuale pieno di incertezze, possono rivedere mensilmente, o bimestralmente, la propria posizione.
Il momento chiave per capire se realmente ci potrà essere una fiammata inflattiva è quello dell’estate, a seconda di come andrà la stagione turistica?
Sì, perché c’è un bisogno represso di vacanza, specialmente in un Paese come l’Italia, dove è anche saltata la stagione invernale e non c’è stata possibilità, magari per tanto tempo, di poter recarsi dai propri parenti che vivono in altre regioni durante l’anno.
L’Italia, per la sua struttura economica, è più esposta a questo rischio?
Non è la più esposta, ma è tra i Paesi più esposti, insieme, per esempio, a Francia e Spagna, al rischio di una fiammata inflattiva più rapida. Non saremmo la pecora nera della situazione, ma saremmo tra le pecore grigie.
(Lorenzo Torrisi)