Secondo l’economista Nouriel Roubini, il pericolo di una recessione per Usa e Ue non è ancora scongiurato e Fabio Panetta, membro del Consiglio direttivo dalla Bce, non esclude che l’Eurozona possa entrare in recessione tecnica quest’anno.

Secondo Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di economia industriale all’Università Cattolica di Milano, questo rischio esiste, perché «in questo momento l’Eurozona è un po’ spaccata in due, con quella settentrionale economicamente imballata».



In effetti, la Germania è già entrata in recessione tecnica…

La Germania sta attraversando una crisi piuttosto forte che è strutturale, non solo congiunturale, ed essendo la prima economia europea contribuisce a trascinare il Pil complessivo dell’area verso il basso. Anche la Francia, che è la seconda economia dell’Eurozona, non sta brillando, visto che la crescita nel primo trimestre è stata piuttosto contenuta (+0,2%). Di contro, l’Europa meridionale sta andando piuttosto bene. Non solo l’Italia, ma anche la Grecia, il Portogallo e la Spagna attraversano in una fase di recupero, sebbene la Spagna sia ancora sotto i livelli pre-Covid. Credo che sarebbe importante andare a guardare le ragioni per cui un parte dell’Eurozona sta correndo.



Cosa si può dire in merito?

In questi giorni ho letto analisi sul Pil italiano veramente superficiali, quando la vera ragione dell’ottimo risultato del primo trimestre è piuttosto clamorosa: mentre i consumi della Germania sono diminuiti e quelli della Francia sono fermi, nel nostro Paese hanno fatto registrare una crescita straordinaria, considerando i livelli dell’inflazione, vicina al 3% tendenziale. Inoltre, continuano ad andare bene gli investimenti, compresi quelli in edilizia non residenziale, segno che qualche opera pubblica la si sta cominciando a realizzare. In questo momento, quindi, l’Italia sta facendo due cose che la Germania non fa: investire e consumare.



Nel secondo semestre l’economia italiana dovrà fare i conti con un rallentamento rispetto alla prima parte dell’anno?

Ci sono forze che spingono verso un rallentamento, come si vede dagli indicatori relativi alla produzione industriale, alla fiducia delle imprese, agli indici PMI. Questo certamente non aiuta a mantenere i livelli del primo trimestre, ma bisogna anche dire che ci sono altre componenti, come quelle dei servizi, che stanno invece andando molto bene e che potrebbero anche controbilanciare le spinte vero il basso. Credo che riuscire a mantenere una traiettoria che ci consenta comunque di aumentare minimamente la crescita acquisita alla fine del primo trimestre (+0,9%) non dovrebbe essere un’impresa complicata. I tassi di crescita non potranno certamente essere ancora dello 0,6%, ma basterebbero pochi decimali nei prossimi trimestri per arrivare a fine anno all’1,2% previsto dalla Commissione europea.

Resta comunque importante riuscire a mettere a terra il Pnrr…

Mi sembra che sul Pnrr stiamo vivendo una specie di psicosi collettiva. Capisco che ci sono preoccupazioni, che bisogna fare degli aggiustamenti, che è stato speso poco finora rispetto alle risorse disponibili, ma è sufficiente che una minima quota di quello che deve essere fatto venga fatto per avere dei risultati tangibili già quest’anno. Dobbiamo anche ricordare che man mano che gli investimenti verranno realizzati avremo un vantaggio rispetto agli altri Paesi che non hanno a disposizione così tante risorse.

La scorsa settimana il Governo ha approvato il Ddl Made in Italy. Cosa ne pensa?

Penso che il Ministro Urso abbia fatto un buon lavoro con le limitate risorse disponibili e che i provvedimenti possano aiutare il Made in Italy a proseguire nella striscia positiva di questi ultimi anni. Credo che vi siano utili strumenti che possano aiutare le nostre piccole e medie imprese a ottenere alcune certificazioni internazionali, che per loro sono costose, ma che possono essere decisive per penetrare in alcuni mercati, come, per esempio, la Cina.

Del Ddl si è parlato in particolare per via della costituzione di un fondo sovrano per aiutare le nostre imprese.

Io avrei scelto un nome diverso, ma credo che questo fondo, che naturalmente dovrebbe operare in modo armonico con la Cdp, potrebbe essere utilizzato anche per favorire delle aggregazioni tra imprese. Una sfida possibile, per esempio, è permettere ad alcune medio grandi imprese che abbiamo in tantissimi settori, e che sono leader internazionali, di gestire il passaggio generazionale che dovranno affrontare.

In che modo?

Si potrebbe immaginare un ruolo dello Stato come aggregatore di imprese lasciando delle quote agli eredi delle diverse famiglie proprietarie, ma consentendo anche l’assunzione di manager di livello internazionale per poter portare avanti la loro crescita.

(Lorenzo Torrisi)

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