In attesa della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del decreto rilancio vale la pena fare il punto sulla qualità degli impegni profusi dalla compagine governativa, con la mobilitazione di circa 80 miliardi di euro di risorse (considerando anche il decreto cura Italia) destinate ad aumentare il debito pubblico, per reggere l’urto dell’emergenza sanitaria sull’economia, e a sostenere le imprese e i redditi delle persone e preparare il terreno per una rapida ripresa delle attività.
Commentando a suo tempo i contenuti del primo decreto avevamo sottolineato due particolari diversità negative tra i provvedimenti adottati dal Governo italiano rispetto a quelli messi in campo, per le medesime finalità, nei principali Paesi aderenti all’Ue: l’eccessiva proliferazione degli interventi e la macchinosità delle procedure e dei soggetti chiamati a interagire per la loro attuazione.
Gli interventi rivolti al sostegno dei redditi dei lavoratori dipendenti, autonomi e delle famiglie sono decollati con difficoltà, non ancora risolte per le casse integrazioni in deroga e per altri bonus dedicati alle famiglie. Ancora peggiori sono i ritardi che si stanno verificando per l’accesso ai crediti garantiti dallo Stato per le imprese, al momento resi possibili solo per una parte minoritaria delle stesse.
Limiti che, nonostante i buoni propositi, sono persino aumentati, con i provvedimenti contenuti nel nuovo decreto. Qualcuno ha provveduto a fare i conti e ha evidenziato l’introduzione di 23 nuove tipologie di interventi e di circa 150 diverse soglie di reddito o di fatturato per accedere alla miriade di provvedimenti finalizzati a erogare prestiti o contributi a fondo perduto, sospendere il pagamento di tasse, contributi e tariffe, beneficiare di sostegni al reddito o bonus di vario genere, accedere agli incentivi per nuovi investimenti e agevolare l’acquisto di prodotti. Per non parlare della miriade di rinvii a decreti attuativi, regolamenti, dispositivi in carico agli enti erogatori e le inevitabili circolari attuative, alle quali verranno sottoposte anche le misure che elevano le detrazioni degli ecobonus e sismabonus al 110% nelle ristrutturazioni edilizie, e che finiranno per generare incertezze e procrastinare nel tempo gli interventi, con il rischio evidente di vanificarne l’efficacia.
Ora siamo in mezzo al guado. Di fronte a noi c’è la certezza di una recessione che farà molte vittime. Indotta dalla contrazione delle esportazioni, dall’incremento dei livelli di indebitamento delle imprese che si rifletteranno sugli investimenti, con un particolare impatto in alcuni settori, come il turismo, la ristorazione, il commercio al dettaglio, con molte imprese che saranno costrette a chiudere i battenti, e l’inevitabile contrazione degli occupati. Con i provvedimenti adottati il Governo ha praticamente esaurito le munizioni, leggi i potenziali margini di indebitamento possibili, grazie alla sospensione del Patto di stabilità e agli acquisti dei titoli di debito pubblico operati dalla Bce che consentono di contenere il costo degli interessi sulle nuove emissioni.
Le strade possibili per mobilitare nuovi interventi di sostegno all’economia nel corso del 2020, sono praticamente tre: sbloccare le opere infrastrutturali con la sospensione del nuovo codice per gli appalti, approvvigionarsi dei fondi europei Mes e Sure per gli investimenti nel settore sanitario e per il sostegno all’occupazione. In attesa che le istituzioni europee decidano di promuovere il nuovo Recovery Fund che diventerà operativo nel 2021. Tutte cose ostiche per una parte rilevantissima della maggioranza di Governo che che sul giustizialismo e sull’ostilità verso l’utilizzo delle risorse europee tramite prestiti si gioca la propria immagine.
Ammesso che tutto questo trovi una soluzione, rimane il problema di come poter assicurare la continuità dei sostegni al reddito in corso nel momento in cui, da agosto in poi, la crisi produrrà i veri effetti negativi sull’occupazione e sui redditi delle famiglie. Il proposito di risarcire ogni forma possibile di danno economico per tutte le categorie, produttive e non, ha impegnato in tre mesi un volume di risorse superiore a quello speso nei 5 anni della crisi economica iniziata a fine 2008. Sollecitando in modo irresponsabile, e con il supporto attivo delle varie forze che sostengono il Governo, ogni sorta di rivendicazioni a carico del debito pubblico.
Nel nostro Paese è in corso una deriva parassitaria, culturale oltre che economica, ben simboleggiata da due scelte, apparentemente di segno opposto nel decreto in questione: una sanatoria per gli immigrati irregolari per il fine di reperire manodopera per il lavoro stagionale e, nel contempo, esentare per qualche mese i beneficiari del reddito di cittadinanza dagli obblighi di accettare nuove proposte di lavoro.
Siamo in mezzo al guado. E non sono mancate le voci, molto autorevoli, che ci hanno messo in guardia dai rischi di cambiare il cavallo durante la traversata. Ma il cavallo purtroppo è un ronzino e ci sta trascinando in acque melmose. Potrà bastare un atto di fede a salvarci?