Alcune delle principali catene di ristorazione americane, tra cui Starbucks, in questi giorni stanno avvisando i propri clienti che non tutti i prodotti sono regolarmente disponibili a causa delle difficoltà di approvvigionamento. La ragione principale sarebbe, nel caso americano, la difficoltà di trovare abbastanza autotrasportatori e conducenti in un’economia ormai aperta quasi completamente. Ieri l’amministratore delegato di una delle principali società portuali inglesi, invece, ha messo in guardia il proprio Governo contro la possibilità che le catene di fornitura alimentari si possano interrompere.
La ragione, secondo il manager, sarebbe la politica di tracciamento e quarantena messa in atto dal Governo inglese: solo settimana scorsa sono state mandate a oltre 500 mila persone avvisi di quarantena, per contatti con persone positive al Covid, fino a un massimo di dieci giorni. Secondo il Telegraph, un dipendente su 10 delle società attive nella lavorazione della carne è stato obbligato all’isolamento. Il rischio quindi è la chiusura di alcune linee di produzione.
L’Italia non è estranea a queste tematiche perché le ragioni di fondo di questi rischi sono le stesse per tutti. L’industria da 18 mesi affronta improvvisi vuoti di domanda, anche prolungati, seguiti da altrettanto improvvisi picchi in concomitanza delle riaperture. Queste condizioni sono un incubo logistico, organizzativo e finanziario per chi fa industria e produce beni soprattutto, ovviamente, se deperibili. Il tutto è aggravato da politiche di sussidi che, giuste o sbagliate, comunque tengono ai margini molti lavoratori e da quarantene che coinvolgono la forza lavoro.
Cerchiamo di spiegare cosa sta succedendo. Un’impresa non può programmare la propria produzione costantemente per i picchi; certo può fare, fino a un certo punto, un po’ di scorte, ma programma una produzione coerente con una media ragionevole. È la ragione, se vogliamo, per cui a Ferragosto o al sabato sera qualcuno non trova posto al ristorante o in albergo. Il ristorante non ha abbastanza coperti per accontentare tutti gli avventori del sabato sera altrimenti avrebbe strutturalmente bisogno del doppio o del triplo degli spazi e l’attività non sarebbe più economica.
Oggi un’impresa che vuole sopravvivere è obbligata a considerare la possibilità che improvvisamente la domanda collassi o che strutturalmente una certa percentuale di operai non si presenti al lavoro perché in quarantena. Questo ha due effetti: un incubo logistico difficilissimo da gestire e una nuova media di produzione strutturalmente più bassa e prudente. In un mondo altamente connesso dove i pomodori campani magari finiscono in una lattina prodotta in Cina con un metallo estratto in Africa, per fare un esempio esotico e magari assurdo, incastrare i diversi picchi, le quarantene sfasate tra aree globali porta a tensioni sulle catene di fornitura colossali. Il risultato è che ogni tanto manca qualcosa.
È probabile che le aziende abbiano reagito alle prime ondate pensando che fossero un’eccezione e che si sarebbe tornati a una normalità più o meno in linea con quello che succedeva prima dello scoppio del Covid. Oggi si potrebbe incorporare uno scenario in cui invece i lockdown sono periodici e difficilmente prevedibili essendo anche legati a decisioni politiche. In ogni caso i maggiori costi logistici e organizzativi e la riduzione strutturale di alcuni mercati, perché per esempio sono più chiusi di altri o perché si sono impoveriti di più, comporta maggiori costi pagati dai consumatori e induce a produrre strutturalmente di meno. L’organizzazione di una catena di fornitura sparsa per il globo si complica enormemente.
Il supporto iniziale ai lockdown e alle quarantene è nato in un clima da vacanza per milioni di lavoratori che hanno continuato a trovare sugli scaffali tutto quello che trovavano prima ai costi di sempre. Stiamo solo ora iniziando a vedere le conseguenze di quello che è iniziato diciotto mesi fa mentre una certa risposta al problema è stata presentata come indolore. Il problema come sempre è politico; il supporto a queste decisioni di oggi ci sarà “domani” se gli scaffali dovessero svuotarsi?
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