Finalmente dopo sette anni ascolto per intero un album nuovo dei Massive Attack (tralasciando le colonne sonore) e invece di concentrarmi sull’opera nella sua complessità, sulle assonanze e le divergenze coi lavori precedenti, sugli intenti che il riformato duo 3D e Daddy G fanno trasparire in questi 10 pezzi, mi ritrovo completamente risucchiato e assuefatto da una sola canzone della lista: Paradise Circus.

E non perché questa sia stata scelta come singolo, come video, come traino per il cd. Mi scopro in questo stato perché come nei migliori episodi del gruppo principe del Bristol sound anni Novanta la testa rimane completamente sospesa tra le spirali del ritmo rallentato, ipnotizzato dalla tastiera minimale e innamorato della voce sensuale femminile di Hope Sandoval.

La canzone, che ad un primo ascolto distratto può risultare un po’ pretenziosa e minimale, ha su di me immediatamente un’attrazione magica: le parole volutamente ermetiche –  «Look at her with a smile like a flame, she will love you like a fly will never love you, again» – si sposano perfettamente con l’interpretazione vocale e gli archi nella parte finale regalano sensazioni difficilmente descrivibili nei soliti termini, ma decisamente emozionanti.

Paradise Circus è a mio avviso quindi un segnale importante in questo nuovo album: i Massive Attack probabilmente non potranno mai più essere quelli di Teardrop (troppo bella per essere vera) o Protection (troppo perfetta per essere vera) ma hanno ancora nelle loro corde una melanconia romantica meravigliosa adatta a tutti quelli che hanno ancora voglia di ascoltare.
Per quanto riguarda il resto del cd non posso che rispolverare giudizi utilizzati anche per i dischi precedenti: un album sicuramente aspro, ovattato e liquido; il consueto contributo  di Andy Horace è ancora più dub del solito e la complessa e profonda Pray for rain con la voce di Tunde Adepimbe dei Tv on the Radio ci avverte proprio all’inizio del disco che l’ascolto sarà tutt’altro che facile e lineare.

L’album prosegue con canzoni di ottima fattura e poche cadute di tono in un’atmosfera prevalentemente scura, direi anche avvolgente se questo non facesse subito pensare a qualcosa di rilassante. Lo stesso Damon Albarn sembra accodarsi al clima generale cantando in modo quasi dimesso ma trasportato la dolce inquieta Saturday Comes Slow (se pur semplice semplice nel suo dipanarsi è secondo me l’altro incanto del disco).

Come accennato prima siamo lontani dai vertici assoluti raggiunti dalla band nel decennio scorso, ma ci troviamo comunque di fronte a un disco che ricolloca i Massive Attack là dove sono sempre stati: musica per teste aperte, per pensieri non banali e per cuori ancora pulsanti; musica meticcia che prende da molti generi (pop, rock, elettronica, soul, hip hop) per raggiungere i suoi obiettivi.

E se un po’di mestiere nel farlo porta a risultati come “Paradise Circus” io non ho niente da eccepire e mi auguro neppure voi.
Mi permetto in ultimo di farvi notare di non aver mai usato il termine trip-hop a cui forse qualcuno di voi è ancora affezionato: mi spiace ma mi hanno detto che finché sono troppo proiettato sul passato (anni Ottanta-Novanta) la vita non mi riserverà sorprese nel presente e soprattutto qualche lettore giovane ne potrebbe rimanere disorientato.

Consiglio finale suggerito dall’album recensito: recuperate il notevole “Future Chaos” di Bomb the Bass (versione deluxe con cd di remix incorporato) e quando parte Black River dite a voce alta «ma Mark Lanegan può cantare proprio sopra ogni cosa!».

(Simone Nicastro)