Stai con gli Spandau Ballet o i Duran Duran? Una domanda che non si facevano solo le ragazzine, credetemi. E il mio amico “paninaro” più grande rispondeva sempre convinto: “i Pet Shop Boys unici e sopra tutti”.
Ci sono album che non si limitano a girare intorno alla musica, ma per una serie di circostanze (pure se studiate a tavolino) obbligano chi ascolta a fare i conti anche con qualcos’altro.
Gli Hurts, duo di Manchester, in pochi mesi hanno riportato alle orecchie di tutti e soprattutto nell’immaginario collettivo gli anni Ottanta più glamour eppure i più difficili da ricreare.
Il synth-pop, per alcuni solo new-romantic, ebbe un successo straordinario tra i ragazzi dell’epoca con band, oltre a quelle già citate, come i Visage, Alphaville e l’italianissimo Gazebo.
Il mix era semplice e affascinante: utilizzare la musica elettronica non solo per brani dance ma anche per ballate romantiche, malinconiche e ricche di pathos.
E gli Hurts hanno deciso di fare il compito con maniacale precisione: “Happiness”, titolo del loro primo album, è un lavoro di musica “lenta”, di un’atmosfera sintetica quasi dolorosa, dove le canzoni pur essendo squisitamente pop non tralasciano mai un senso di nostalgia e tormento.
L’iniziale Silver Lining proietta subito il tutto nell’ottica desiderata: tastiere “darkeggianti”, pianoforte intimo e voce pulita carica di lirismo. Brano notevole non c’è che dire.
Wonderful Life, scelta dalla band come secondo singolo con correlato videoclip in alta rotazione su i canali televisivi, invece ricorda i primi Talk Talk per la capacità di essere insieme lieve e intellettuale.
Il gioco dei rimandi diventa sempre più preciso e ricco nel proseguo dell’opera: la straziante epicità dei Tears For Fears in Blood, Tears & Gold, la precisa gravità delle tastiere nel ritornello killer di Sunday in perfetto stile dei già citati Pet Shop Boys, la maestosità un po’ giovanilistica ostentata in Stay come un rimando ai Simple Minds più pacati.
Non ci si lasci trarre in inganno però. Questi due ragazzi sono tutt’altro che dei furbi imitatori di genere.
La produzione dell’album è quasi perfetta e ogni elemento è posizionato per far risultare il sound del duo mai datato o semplicistico.
Evelyn trascina l’ascolto come sul filo del rasoio tra esplosioni di suoni e batterie amplificate con una melodia vocale semplice ma estremamente efficace.
Better Than Love, primo singolo e brano scala classifica è la canzone dell’intero album più danzereccio, orecchiabile e che strizza l’occhio a quella Germania dove il synth-pop è la musica ancora oggi più in voga.
Ultime due citazione di dovere per Devotion, duetto romantico con la diva Kylie Minogue, e Water, dove l’ombra del primo George Michael solista vive non solo nel canto ma anche negli arrangiamenti pianoforte-archi.
"Happiness" è un album straniante, “old fashion”, compatto e quasi mai banale; chi cerca novità o evoluzioni rimarrà deluso ma la scelta degli Hurts (e dei loro produttori) di azzardare a un ritorno così convinto a certe sonorità è non solo lodevole, ma soprattutto decisamente vinta.
Forse sarebbe stato utile variare gli arrangiamenti un po’ di più per evitare quel senso a volte di ripetitività tra un brano e l’altro, ma come opera prima non si può che applaudire e rimanere in attesa di vederli dal vivo per una valutazione più completa.
(Simone Nicastro)