Dove eravamo rimasti? A quanto pare nello stesso posto dove siamo da sempre, o quasi.
Se esiste un gruppo che più di tutti gli altri ha influito su generazioni e generazioni di musicisti pop/rock (non solo in questi generi musicali ad essere sinceri) negli ultimi 30 anni non ci sono quasi dubbi su chi indicare: gli Smiths.

Il magico duo Morrissey/Marr con i loro degni compagni Rourke e Joyce sono stati una pietra di paragone per centinaia di band e, chi più chi meno, sono veramente in tanti gli artisti a dovergli qualcosa, per lo meno come sonorità e attitudine.
Ma il disco in questione è qualcosa di totalmente diverso e inaspettato: i Northern Portrait, gruppo danese, sono praticamente identici agli Smiths.

Il cantato tipico coinvolgente, le armonie cristalline di chitarra, quella melanconia romantica avvolgente, la semplicità armonica resa  forma d’arte per chiunque ascolti.
Al primo ascolto si rimane veramente spiazzati: quante volte in questi anni si è sperato di trovare “queste” canzoni nei lavori del divino Morrissey, quante volte si è creduto di rintracciare la maestria di Marr nel far sembrare tutto così unico e personale.

“Criminal Art Lovers”, primo album dei Northern Portrait, racchiude in dieci brani tutte queste caratteristiche (meraviglie) senza lasciar il tempo di capacitarsene. Si incontra pure quella urgenza giovanile e quasi irrispettosa verso il mondo “macho” del rock che elesse gli Smiths a paladini incontrastati per tanti ragazzini in quei primi anni ’80.

Fin dal primo brano dell’album “The Münchhausen In Me” tutto risulta chiaro: giro di chitarra brillante e pulito, inserti lievi di tastiera, ritmi lenti ma ballabili e la voce sontuosa anche nei “tipici” gorgheggi morrisseyani. Da restare immediatamente rapiti.

E poi via di seguito tutto quanto ci si aspetta (ci si aspettava all’epoca): struttura trascinante con regale classe in “When Godness Fall” (quasi perfetta), arpeggio orecchiabile su battiti frenetici in “Crazy” (trascinante singolo) e ballatona autunnale strappacuore da interpretare dietro le persiane socchiuse in “The Operation Worked But The Patient Died”.

Se si vuole proprio essere pignoli le differenze tra gli Smiths e i Northern Portrait si possono anche trovare: la ritmica generalmente più regolare, le composizioni meno complesse e i testi ancora acerbi rispetto alla poetica dei primi.

Ma questo non cambia le regole del gioco quando poi ci si lascia incantare dall’attitudine pop wave della stupenda “Life Returns To Normal”, in un mondo migliore possibile hit da milioni di copie.
O l’enfasi a stento trattenuta e deliziosa di “What Happens Next?” (“I can’t, I can’t believe it’s true Lie down next to me I can’t, I can’t believe it’s true But that’s how things will be”) .

E ancora come non lasciarsi trascinare dalla dolcezza sofferente e necessaria di “That’s When My Headaches Begin” e il perfetto equilibrio tra voce e melodia di “Murder Weapon”.
Per chiudere infine con quella “New Favourite Moment” che tanto sintetizza le diverse caratteristiche di questa band appena affacciatesi sul nostro mondo.

I Northern Portrait sono in queste settimane accusati da più parti di essere non più che una cover band e di rasentare il plagio con le loro canzoni: la mia opinione è che la grandezza degli album è sempre fatta  dalle canzoni e la capacità di questi ragazzi di scrivere brani intelligenti, piacevoli e convincenti è fuori discussione.

Se poi questo mi costringe ad ascoltare dopo tanti anni un “ipotetico” nuovo album degli Smiths tanto meglio: in molti ci hanno provato con alterne fortune, i Northern Portrait sono quelli che sembrano oggi avere maggiori carte da giocare. Bravi loro.