Dalla seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno giustamente attribuito all’energia un ruolo di grande importanza sia nel contesto diplomatico che in quello militare. Infatti gli Usa hanno sempre avuto una grande preoccupazione e cioè la loro vulnerabilità energetica, che dipendeva dalle scelte politiche compiute dai Paesi arabi. 



Dal punto di vista storico questo timore, pienamente giustificato, ha raggiunto l’apice nel 1973 e poi nel ’74 quando i Paesi arabi imposero un embargo sulle esportazioni petrolifere verso gli Stati Uniti come conseguenza per il sostegno che gli americani avevano dato a Israele durante la guerra di ottobre e anche nel 1979 in relazione alla rivoluzione islamica in Iran. 



Allo scopo di superare questa loro vulnerabilità gli Stati Uniti hanno posto in essere una capillare presenza di infrastrutture militari nel Medio oriente soprattutto per avere la possibilità di un approvvigionamento continuo nel tempo. Tuttavia, allo stato attuale, gli Stati Uniti sono diventati quasi del tutto autosufficienti sia nel settore petrolifero che in quello del gas, al punto che possiamo affermare che la vulnerabilità strategica è venuta meno.

La produzione petrolifera di gas che gli Stati Uniti hanno attuato rappresenta una vera e propria risorsa strategica. Ma quando è avvenuto questo cambiamento? 



Certamente durante l’amministrazione Obama, durante la quale le tecniche di fratturazione idraulica hanno consentito lo sfruttamento su ampia scala del gas di scisto. Non dimentichiamoci che, stando alle statistiche del Dipartimento dell’energia americano, la produzione nazionale di greggio è sicuramente diminuita per quasi due decenni passando, cifre alla mano, da 7 milioni di barili al giorno nel 1990 a 5 milioni nel gennaio del 2010. Ma sotto l’effetto della rivoluzione shale oil la produzione ha invece avuto un evidente ripresa arrivando a superare i 9 milioni di barili nel 2015. 

Concretamente questa svolta energetica si è manifestata a livello diplomatico durante i negoziati sul nucleare con l’Iran nel 2013: infatti l’autonomia energetica ha consentito a Washington di perseguire una linea ferma nei confronti dell’Iran, poiché l’aumento rilevante della produzione petrolifera americana ha ridotto al minimo le implicazioni delle sanzioni attuate dagli Usa e dai loro alleati nei confronti della produzione petrolifera iraniana. 

Proprio partendo dal superamento di questa vulnerabilità strategica, gli Stati Uniti stanno perseguendo in maniera coerente un obiettivo nei confronti dell’Europa, e cioè creare le condizioni perché l’Europa riduca sempre di più la propria dipendenza dagli idrocarburi russi. Infatti fin dagli anni 80 gli Stati Uniti hanno considerato la dipendenza europea dalla Russia come una vera e propria minaccia per la loro egemonia globale. D’altra parte le tecniche di perforazione hanno permesso agli Stati Uniti anche un incremento significativo della produzione di gas, che è passata da 489 a 939 miliardi di metri cubi nel giro di poco tempo, dal 2005 al 2019. 

Ma è stato soprattutto sotto l’amministrazione americana Trump che il Gnl è diventato una questione fondamentale. Quanto sia centrale la questione energetica lo si evince dalla strategia di difesa nazionale formulata nel febbraio 2018, che si basa su un’idea molto semplice: gli Stati Uniti devono impedire alla Russia e alla Cina di espandere le loro sfere di influenza e quindi tutti i Paesi occidentali devono unirsi in modo solidale contro qualsiasi mossa considerata aggressiva sia da parte della Russia che da parte della Cina. E questo implica non solo un rafforzamento della proiezione di potenza militare americana, ma anche e di conseguenza una mobilitazione di tutte le sue risorse economiche e tecnologiche, a cominciare da quella energetiche. 

Superfluo osservare che questa concezione strategica ha ricevuto il plauso dell’attuale amministrazione americana, che considera il ridimensionamento profondo della potenza russa e cinese come il principio fondamentale della sua politica. L’attenzione rivolta dall’America alla Russia è diventata decisiva durante l’attuale conflitto. Partendo dal presupposto che la Russia dipende per le sue entrate dal petrolio e dal gas che servono per finanziare le sue operazioni militari, l’indebolimento delle sue capacità militari può significare – e sta significando – il ridimensionamento delle sue esportazioni, e questo a sua volta significa dare all’Europa la possibilità di avere alternative. 

Non è quindi un caso che uno degli obiettivi della strategia americana sia da un lato quello di rifornire con armi le forze armate dell’Ucraina, ma dall’altro lato un’altra faccia di questa strategia consista nel creare le condizioni affinché i leader europei abbandonino loro dipendenza dalla Russia sostituendo gli idrocarburi russi con le importazioni americane.

Per realizzare questo scopo la Commissione europea ha infatti varato un piano per ridurre la dipendenza dell’Ue dai combustibili fossili russi. È evidente allora che la sinergia tra l’Ue e gli Stati Uniti nel settore energetico potrebbe cambiare in modo radicale il sistema di approvvigionamento energetico a livello globale, che non sarebbe più dominato dalla legge di mercato ma al contrario sarebbe determinato da scelte geopolitiche: gli Stati Uniti, gli alleati della Nato e i Paesi arabi avrebbero di fatto il controllo planetario della distribuzione dell’energia, mentre il resto del mondo condividerebbe soltanto una parte residua dei corridoi energetici.

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