Una delle strategie che la Russia sta attuando per superare i problemi collegati alla guerra con l’Ucraina è quella posta in essere nel 2003 nota come strategia energetica russa. Concretamente questa strategia ha cominciato ad essere attuata nel 2012 attraverso la costruzione di un tubo lungo 4.700 km in grado di trasportare circa 1,6 milioni di tonnellate di petrolio al giorno sia in Cina che in Giappone; in questa ottica lo sganciamento dall’Europa da parte della Russia si sta concretizzando attraverso la costruzione del gasdotto in Siberia che dovrebbe essere in grado di inviare in Cina qualcosa come 38 miliardi di metri cubi all’anno.
La necessità da parte della Russia di affrancarsi dall’Europa sta inducendo Putin a investire sempre di più in Mongolia insieme alla Cina con la costruzione di un collegamento attraverso la Mongolia che dovrebbe consentire alla Cina di ricevere 50 miliardi di metri cubi all’anno. Ma anche nel settore del Gnl la Russia vuole conseguire una sua autonomia rispetto all’America, al Qatar e all’Australia. Come? Sia attraverso la costruzione di infrastrutture petrolifere site al largo dell’isola di Sakhalin in partnership con le aziende giapponesi, sia nella penisola di Gydan (Arctic LNG 2), in partnership con la francese TotalEnergies.
Naturalmente le sinergie più importanti rimangono quelle della Russia con i mercati asiatici, come dimostra il fatto che proprio ad aprile le raffinerie cinesi sono riusciti ad avere uno sconto di grande rilevanza – 35 dollari su un barile di petrolio russo – che ha portato le importazioni cinesi ad aumentare del 30% rispetto all’anno precedente e questo dovrebbe consentire alla Cina di evitare i blackout energetici.
Questo significa che la Cina è molto legata alla Russia per quanto riguarda le sue risorse energetiche, ma lo è altrettanto agli Stati Uniti, poiché le vene giugulari che controllano il commercio sono sotto il controllo americano: parliamo sia dello stretto di Malacca che di quello di Singapore. Proprio per questo la Cina non può che guardare in modo positivo alle alternative proposte da Mosca, alternative queste che si concentrano geograficamente sulle rotte orientali e settentrionali.
Per quanto riguarda un altro gigante asiatico e cioè l’India, anche questa sta beneficiando dei suoi rapporti con la Russia: infatti l’India è arrivata a importare dalla Russia il 17% del suo fabbisogno, importazioni queste che hanno indotto la Russia a fare uno sconto del 30%. È tutt’altro che esclusa l’ipotesi che l’India possa avere i mezzi tecnologici per rivendere all’Europa il gas russo conseguendo un guadagno di grande rilevanza.
Un’altra conseguenza sempre più evidente dell’attuale guerra in Ucraina è il ritorno al carbone per produrre elettricità, e di conseguenza sia la Germania che l’Italia saranno costrette probabilmente a riattivare le centrali elettriche a carbone che erano state dismesse per ragioni di natura ambientale. Per quanto riguarda il settore nucleare vedremo quali decisioni Roma e Berlino prenderanno. Sempre naturalmente che lo facciano.
In ultima analisi i veri vincitori di questa guerra – almeno allo stato attuale – sono le grandi compagnie petrolifere. Quanto ai perdenti credo che l’immagine del ministro tedesco dell’Economia e del clima Robert Habeck che si inchina di fronte allo sceicco del Qatar Tamim Bin Hamad Al-Thani il 20 marzo 2022 sia eloquente.
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