Il discorso pronunciato da Putin in occasione della ricorrenza della vittoria sulla Germania nazista e il fascismo internazionale quarant’anni or sono è un evento storico che apre una fase nuova nella storia mondiale. Esso si accomuna alla recente visita di Xi Jinping in Francia, Serbia e Ungheria nello stesso arco di giorni e – per quei moti della storia che ci fanno comprendere come nulla possa mai essere programmato ed eterodiretto nei flussi del divenire umano – all’annuncio del presidente Biden di non rifornire più di armi pesanti Israele.
Ciò che colpisce di quest’ultima decisione non è il fatto ch’essa si attui, ma che sia annunciata: si tratta di una nuova Anabasi degli Usa dopo la ritirata dall’Afghanistan. Putin e Xi Jinping, d’altro canto, affermano invece un passo innanzi nella dislocazione di potenza mondiale.
Anche questa volta, dopo la Prima guerra mondiale, la radice dello sconvolgimento delle relazioni internazionali risiede nell’impossibilità di cooptare nel blocco di comando anglosferico (Usa e Regno Unito da cui ancora discende la leadership del mondo oggi più in potenza che in atto, ma sempre viva e presente e dominante le vette ghiacciate del potere mondiale) i nazionalismi variegati e possenti che si scontrano nel plesso di forze che vanno dall’impero russo aggressivo (dall’Ucraina alla Siria, al Sahel) al Grande Medio Oriente. È questo ultimo plesso di forze che si va disgregando per liberarsi dal dominio anglosferico.
Il segnale era stato già evidente nel corso della visita di Biden in Arabia Saudita, accolto dal potente principe Bin Salman non con una stretta di mano, ma con uno incontrarsi delle nocche dei pugni dell’ottuagenario e del giovane costruttore di un nuovo rapporto di forze che si esprime nel rifiuto saudita di abbassare il prezzo del petrolio su scala mondiale per indebolire la Russia neoimperiale alla ricerca di se stessa con la guerra e il proporsi come cuspide tra le cuspidi avversarie dell’anglosfera. Il nazionalismo genocidario antisemita di Hamas è stata l’occasione per affermare questo scatto di potenza e di salita al cielo del potere. Se non si coopta il plesso di nazioni in corsa verso il potere, esse si autocandideranno a conquistarlo da sole: è ciò che si sta svolgendo sotto i nostri occhi in questi mesi.
Il suprematismo razzista e massacratore che domina il Governo di Israele è disgraziatamente un segmento decisivo di questo scontro mondiale di potere che i più riassumono nell’emergere dei Brics sempre più potenti (con i sauditi e i sempre nuovi alleati che via via si aggiungono a ogni Anabasi che s’invera).
La dipendenza della politica estera di tutti i Governi mondiali sempre dalla scarsa istituzionalizzazione della lotta politica interna non fa che rendere più fosco è drammatico il quadro. La ragione è che in tal modo i nazionalismi di ogni sorta prevalgono su qualsivoglia tentativo di cooptazione in un quadro di ordine, ossia di pace negoziata del potere mondiale. Il caso Biden-Trump è emblematico, ma lo è ancor più il ruolo che l’Ue svolge in questo catastrofico orizzonte, appoggiando di fatto, con le dichiarazioni di Borrell, l’indecisione diplomatica generata dalle divisioni franco-tedesche e tra le nazioni baltiche e la Polonia: al cospetto delle cautele mediatrici franco-tedesche, da quei mondi viene un appoggio di fatto alla strategia di una guerra che non può che sfiorare – con l’aggressività russa – il conflitto nucleare.
L’Ue poi ha nel suo seno la spina dell’appoggio senza veli al nazionalismo islamico antisemita attraverso i suoi stessi ambienti dediti alla ricerca sul campo mediorientale, come dimostrano le dichiarazioni di François Burgat di entusiastico appoggio ad Hamas.
L’ora della verità è giunta per tutti. E questo perché la responsabilità del realismo politico nelle relazioni internazionali si è eclissato. Non lo sia anche la civiltà…
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