Amin Laschet candidato cancelliere per la Cdu alle elezioni politiche tedesche del prossimo 26 settembre, è largamente considerato “unfit” a succedere ad Angela Merkel, anche all’interno del suo partito. La gaffe della risata “leakata” da un video durante una visita alle zone alluvionate della Germania occidentale è parsa confermarlo. Soprattutto perché il ricordo di un voto tedesco deciso in corsa da un’alluvione è ancora abbastanza fresco.



Era l’agosto di diciannove anni fa e la Germania era governata da una coalizione rosso-verde, guidata da Gerhard Schroeder. Quattro anni prima il leader Spd aveva archiviato il lunghissimo cancellierato cristiano-democratico di Helmut Kohl, culminato con la riunificazione del 1990. Al primo test per la riconferma (in calendario il 22 settembre 2002) Schroeder e il suo vice “grune” – il ministro degli Esteri Joschka Fischer – erano in netta sofferenza nei sondaggi. 44 a 51 contro l’opposizione Cdu-Csu, che candidava il bavarese Edmund Stoiber con l’appoggio dei liberali. L’ agenda “Die Neue Mitte” (“The Third Way” nella versione europea sottoscritta da Schroeder assieme al premier laburista britannico Tony Blair) non convinceva la Germania profonda: scettica (sia nell’ex Ovest che nell’ex Est) sulla ricetta “offertista” di politica economica, imperniata sul taglio delle tasse. Ma dopo sette giorni di piogge e devastazioni attorno ai grandi fiumi dell’Europa centro-orientale – in Germania soprattutto l’Elba – gli umori dell’elettorato cambiarono bruscamente.



Nonostante i 110 morti e i 30mila senzatetto – concentrati nei “lander” orientali –  Schroeder uscì in avanti dall’emergenza.  L’opinione pubblica tedesca gli riconobbe un’efficace gestione dei soccorsi. All’inizio di settembre i sondaggi erano già rovesciati: 53 a 43 a favore della maggioranza “incumbent”.  Nelle urne il duello personale fra Schroeder e Stoiber e fra i loro partiti finì in virtuale pareggio (con un gap di soli 6mila voti e 3 seggi al Bundestag); ma fu sufficiente a capitalizzare il successo relativo dei Verdi (che avvicinarono il 7%) e a consentire il prosieguo della coalizione anche se non in termini strategici. Sotto attacco all’interno della Spd per un approccio di governo considerato troppo eterodosso rispetto alla tradizione novecentesca della socialdemocrazia tedesca, Schroeder gettò la spugna dopo una serie di sconfitte elettorali locali. E alle elezioni anticipate del 2005 s’impose la giovane ed emergente leader della Cdu, Angela Merkel. La cui parabola sarebbe stata sicuramente diversa – assieme a quella della storia tedesca ed europea – se nell’agosto 2002 un’alluvione improvvisa non avesse azzoppato la candidatura di Stoiber e rilanciato Schroeder.



Gaffe di Laschet a parte – ma di per sé non priva di significato – l’alluvione tedesca del 2021 suggerisce dunque un ricco set  di rimandi e interrogativi di natura politico-elettorale. Anzitutto, l’odierna maggioranza “incumbent” è una (ex) “grande coalizione” fra Cdu-Csu e Spd: sfidata frontalmente dai Verdi, all’opposizione da 16 anni. L’avvicinamento al voto è da molti mesi fluido, di difficile lettura: non solo perché è in gioco un “cambio d’epoca” dopo il regno di Merkel, nel mezzo della crisi Covid ancora in corso. 

Due mesi fa i Verdi della quarantenne Annalena Baerbock avevano addirittura superato nei “polls” Cdu-Csu, traguardando la soglia del 30%. Oggi sono ridiscesi verso una quota a cavallo del 20% – comunque considerevole – sia per l’effetto di violente campagne personali contro la candidata verde, sia per l’incertezza complessiva che circonda la Germania all’inizio dell’era-Recovery, al centro della Ue e della nuova confrontation fra Usa e Cina-Russia. Non solo i cristiano-democratici sono risaliti nei sondaggi, ma anche la Spd, che da anni rotola su un piano inclinato. Questo tuttavia porta ulteriore instabilità al quadro politico. Il leader socialdemocratico Olad Scholz – attuale vicecancelliere e ministro delle finanze – è candidato cancelliere con una piattaforma più “leftist” e non più subordinata alla logica della coalizione on Cdu-Csu. Guarda già, viceversa, a un possibile “rapprochement” con gli stessi Grunen. 

Sulla carta è la stessa squadra del 1998-2005, ma anzitutto i Verdi sono un partito molto diverso da allora. L’eurovoto del 2019 ha confermato che valgono il triplo sul mercato elettorale, con una piattaforma meno ideologica e invece perfettamente allineata con il Recovery Plan europeo, imperniato sul “debito buono” del premier italiano Mario Draghi e sulla transizione digitale ed ecologica (prospettiva non del tutto gradita, invece, al centrodestra tedesco).  Il programma verde, certamente, incrocia quella Spd nel superamento del vincolo di bilancio che invece costituisce tuttora il baricentro-tabù del merkelismo. Se comunque due mesi fa i sondaggi profilavano una nuova e inedita “grande coalizione” (Cdu-Csu e Verdi) oggi segnalano una totale incertezza. Nel “risiko” delle possibili coalizioni fra Cdu-Csu, Spd, Grunen, Fdp e Der Linke (esclusa solo l’ultradestra xenofoba di Afd)  non esiste al momento una “front runner”.  Un’ alluvione potrà reincanalare in modo più o meno decisivo i consensi elettorali?

Ci vorrà qualche giorno per capirlo se gli attuali dispersi porteranno oltre il migliaio il bilancio delle vittime l’impatto emotivo sarà senz’altro forte. Ma nel 2021 questo non sembra promettere necessariamente un sostegno extra ai partiti della coalizione di governo. Soprattutto perché – a differenza del 2002 – il cancelliere in carica non è ricandidato. Ed è reduce da una gestione della lunga emergenza Covid in chiaroscuro: probabilmente anche perché lo postura uscente di “Mutti Angela”, dopo quattro mandati. Sembra però esserci anche dell’altro.

Vent’anni fa un disastro naturale nell’ex Germania Est ebbe effetto politici di tipo classico: traducendo il senso di solidarietà nazionale nella crisi in appoggio alle forze di governo. Oggi la natura fuori controllo – in un’economia avanzata come quella della Germania industriale – è di per sé una denuncia verso chi è al governo. E la Germania “merkeliana” è sempre più l’accusato numero uno nell’ambito occidentale: una superpotenza dell’auto esemplarmente lenta e cauta nelle politiche di decarbonizzazione; un gigante in altri macro-settori sospetti come la chimica e la farmaceutica. Una “locomotiva d’Europa” più attenta a costruire gasdotti dalla Russia piuttosto che dighe o reti di wi-fi. Più  proiettata sulle vie della Seta verso la Cina che nella promozione di un’economia più “pulita” nella sua alimentazione energetica, nelle sue tecnologie produttive, nelle sue relazioni geopolitiche di mercato. 

Non è detto che l’alluvione di per sé cambi radicalmente il clima elettorale in Germania come nel 2002. Ma sbaglia chi pensa che il clima “impazzito” in Renania e in Vestfalia scivoli  via come un’acquazzone estivo.