Il modo esagitato con cui il governo italiano ha reagito alla “letterina” da Bruxelles – litigando con idee diverse quanto confuse – tradisce l’irritato risveglio dopo aver sognato (e promesso) che “Da domenica 26 maggio cambia tutto”. Non c’è stata la vittoria dei “sovranisti” ovvero il rovesciamento della maggioranza con esclusione dei socialisti e la costrizione del Ppe a dar vita a una alleanza di centro-destra.
Nei negoziati in corso l’Italia non è coinvolta nemmeno nella spartizione del “bottino italiano” e cioè Palazzo Chigi non ha alcuna voce in capitolo su chi andrà a sostituire Draghi, la Mogherini e Tajani. L’Italia è completamente isolata: quelli che erano stati coltivati come interlocutori da Di Maio non contano nulla e sono assenti mentre gli alleati di Salvini, a cominciare da Orbán e il gruppo di Visegrád, si muovono in modo del tutto autonomo ignorando gli italiani.
Conte si aggira nei vertici europei avendo come unica richiesta che il posto che spetta di diritto all’Italia nella nuova Commissione non sia proprio di serie B. Chi lo ascolta? Chi lo sostiene? L’“avvocato del popolo” che doveva “battere i pugni sul tavolo” sembra ora rimettersi alla clemenza della Corte.
Eppure l’Italia potrebbe essere tra i protagonisti della trattativa. In effetti il voto ha rappresentato una cocente sconfitta per la Commissione uscente e mette sotto accusa l’egemonia tedesca e la conduzione della Merkel che ha imposto le nomine prima del portoghese Barroso per dieci anni e poi del lussemburghese Juncker. Da dopo la Commissione Delors è iniziato un declino dell’Ue – in particolare con il suo allargamento-annacquamento – che si è rivelato catastrofico di fronte alla crisi economica e poi a quella dei migranti. Dal 26 maggio è però emerso uno scenario europeo che apre la possibilità di una svolta in cui l’Italia potrebbe svolgere un ruolo significativo.
I movimenti antieuropei non hanno fatto breccia, ma il dato rilevante è il venir meno dell’egemonia bipolare tra Ppe e Pse con il forte incremento sulla destra dei liberali e sulla sinistra dei verdi. È un’avanzata di nuovi soggetti europeisti che spinge per una “rifondazione” dell’Ue. L’euro in particolare richiede immediati passi verso una maggiore integrazione politico-istituzionale e pensare di farli escludendo l’Italia dal gruppo di guida è – come sottolineato, a esempio, dal leader storico dei verdi tedeschi, Joschka Fischer, in questi giorni – irrealistico.
Il voto del 26 maggio indica infatti una nuova polarità in cui storia, politica e geografia si incrociano. Il rilancio dell’Ue vede designati dal voto popolare come attori principali: a) i popolari e cioè la Merkel che vuol dire la Germania; i liberali e cioè Macron che vuol dire la Francia; c) i socialisti e cioè Sanchez che vuol dire la Spagna. Al tavolo di rifondazione-rilancio dell’Ue – che significa anche l’avvio di un’Europa a due velocità – l’Italia ha tutti i titoli per essere la quarta gamba anche nei panni di un “sovranismo di governo” a cominciare dall’incombere della crisi migranti che vede l’Italia come frontiera europea. Soprattutto l’Italia potrebbe essere determinante con Francia e Spagna per rimuovere l’egemonia della Merkel e imporre una guida non tedesca della Commissione.
È però necessario che il governo italiano – o comunque la Lega di Salvini se pensa di radicarsi come nuovo partito di maggioranza relativa italiano – non si autoescluda dal “gruppo di testa” dell’Ue.
L’arena delle cancellerie europee non è una sagra di paese dove giocare a chi ha la testa più dura. Anche le “sparate” del leghista Borghi sui minibot come anticipo dell’uscita dall’euro hanno come solo risultato quello di indebolire la candidatura italiana alla Bce. Con queste “testate” l’Italia dopo aver perso il presidente della Banca rischia di trovarsi per la prima volta anche fuori dal suo comitato esecutivo (che è di soli 6 membri).
La linea antieuropeista suggerita dai Steve Bannon porta a ripercorrere la strada del ministro greco Varoufakis che cinque anni fa andava a fare lo sbruffone a Bruxelles con la camicia fuori dai pantaloni cristallizzando così un ruolo del tutto secondario e irrilevante dell’Italia a livello europeo.