Dopo mesi di disinteressata vacatio nei quali nessuno, né Matteo Salvini né Luigi Di Maio, hanno rivendicato il ministero per gli Affari europei, lasciato libero da Paolo Savona per traslocare all’Autorità italiana per la vigilanza sui mercati finanziari (meglio nota come Consob), improvvisamente tutto, persino la sorte del Governo, sembra ruotare attorno a quello scranno. Possibile?



Possibile che un posto, ritenuto da molti secondario, adesso possa rivestire tanta importanza? E, paradosso nel paradosso, perché mai Conte dovrebbe decidere in fretta quando non sembra esserci neppure un nome papabile? Che senso può avere un simile trambusto?

Andiamo con ordine e riavvolgiamo il nastro.

Tutto è cominciato appena 13 mesi fa quando, in piena fibrillazione per la composizione di quello che sarebbe divenuto il primo Governo Conte, i leader del Movimento 5 Stelle e della Lega individuarono nel prof. Paolo Savona, allora assai critico nei confronti della politica economica dell’Unione e della moneta unica, l’esponente più autorevole per ricoprire il ruolo di ministro dell’Economia.



Una vera e propria sfida verso Bruxelles che il presidente della Repubblica, annusato il vento giacobino, sventò “imponendo” un triumvirato di propria fiducia: “l’amico” ed esperto Giovanni Tria al dicastero di via XX Settembre, l’ex ministro Enzo Moavero Milanesi alla Farnesina e, per i Rapporti con l’Europa, il navigato prof. Savona sfilandolo dalle grazie di Salvini e Di Maio.

L’astuta mossa del cavallo che consegnò al premier Conte un governo con tre soci di maggioranza: Lega, Movimento 5 Stelle e, proprio, il Quirinale.

Ecco svelato l’arcano. Paolo Savona non era un ministro qualunque. Il suo dicastero ricadeva (e ricade) nella “quota” del terzo partner di Governo. Quel Colle che nei mesi ha arruolato anche il premier Conte e che molti hanno intravisto dietro l’irrituale quanto minacciosa conferenza stampa tenuta dal presidente del Consiglio appena 5 giorni fa.



Quindi la rivendicazione del posto di Savona altro non è che una rappresaglia, neppure troppo velata, nei confronti del presidente Sergio Mattarella e del suo sodale Giuseppe Conte.

Ecco la quadratura del cerchio. E da ciò la contro minaccia del duo Salvini-Di Maio: se Conte vuol continuare a guidare il Governo deve sottrarre al presidente della Repubblica uno dei sui ministeri e darlo al vincitore delle elezioni. Risultato che, guarda caso, proprio in queste ore, è stato sottolineato dal potentissimo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giorgetti.

Dietrologie? Forse! Ma una cosa appare certa: con la rivendicazione dell’ex-posto di Savona il cerino della legislatura è tornato nelle mani di Conte.