Non avevano debiti, lui e il fratello, nonostante il lockdown li avesse costretti a chiudere il ristorante in Piazza Santa Croce, nel centro di Firenze. Avevano anche ricominciato a lavorare, anche se mancavano i tantissimi turisti stranieri che affollano la città. Si è suicidato nel locale, lo hanno trovato i cuochi e i camerieri quando si sono presentati per la cena. Non ha lasciato alcun biglietto. Secondo il fratello, era spaventato per il futuro, per le incertezze dovute ai tanti dubbi che il Covid sta generando, la paura di non riuscire a pagare il mutuo: “Era diventato vulnerabile, insicuro, debole” aggiunge il fratello, ma la verità non la saprà mai nessuno.
Certo è che vengono in mente analogie con il caso della signora Parisi, che il lockdown aveva reso depressa e paurosa del futuro, di una fine del mondo imminente. “Sono casi in cui non è giusto entrare nel merito” ci ha detto il professor Mario Pollo, professore di pedagogia generale e sociale nella facoltà di Scienze della formazione della Lumsa, a Roma, “non abbiamo informazioni sufficienti, evitiamo di parlare dell’episodio in sé. Ma certamente il Covid ha generato una paura del futuro che le generazioni precedenti non hanno conosciuto”. Una paura, ci ha detto ancora, aumentata dal modo in cui i media ci informano a proposito del virus.
L’incertezza del futuro sta colpendo molte persone in questo periodo dominato dal Covid. Cosa fa scattare il suicidio, la perdita di ogni fiducia?
L’incertezza per il futuro, il rapporto con il futuro, è qualcosa che è presente in molte persone. In qualche modo veniamo da una cultura sociale che non era più abituata a porsi problemi seri rispetto al futuro. Siamo stati abituati a vivere giorno per giorno nel presente, anche perché la maggior parte viveva un livello di sicurezza economica tale da non far pensare al domani.
E queste certezze sono state minate dal virus?
La pandemia ha fatto saltare questa sicurezza, ha messo in crisi la certezza non solo di poter vivere in buona salute ma anche e soprattutto la sicurezza economica. Molte persone hanno dovuto fronteggiare un’imprevista crisi delle proprie forme di sussistenza in modo inaspettato.
Cosa caratterizza esattamente questo periodo storico, che fa scattare gesti estremi come il suicidio?
Siamo davanti a un fenomeno che non si capisce quando finirà. Quando le persone si illudono di essere uscite, arriva, come sta succedendo in questi giorni non solo in Italia ma in molti altri paesi, una recrudescenza. Nessuno è in grado di dire quando tutto questo finirà. Si perde anche la fiducia.
Dunque si riferisce anche alla salute.
Certamente. Stanno venendo fuori casi di persone non colpite dal virus ma con gli anticorpi che successivamente sono state esposte a un virus leggermente mutato e sono ritornate positive.
Quindi? Viviamo nella paura?
Tutto questo per alcuni pone un interrogativo: il vaccino garantirà davvero la cura? E in questo clima di incertezze il futuro diventa problematico, cresce la paura che in caso di un nuovo lockdown le risorse economiche vengano a mancare. Di fronte a questo ci sono persone maggiormente strutturate e con sicurezza di sé che affrontano una sfida cercando di vincere. Ma nelle persone che hanno delle fragilità può determinare un crollo. Le fa sentire incapaci e angosciate.
Che differenza c’è?
L’esperienza dell’angoscia è più forte di quella della paura. La paura è sempre verso un oggetto definito, l’angoscia si rivolge verso una minaccia che non si conosce e può colpire quando non te lo aspetti.
Secondo lei i media hanno responsabilità nel modo in cui trattano la pandemia? Usano un linguaggio che può far scattare questa angoscia?
In questi giorni vedo i Tg che danno i dati sui nuovi contagi dicendo che sono in decrescita. Però immediatamente dopo il giornalista sottolinea che sono stati fatti molti meno tamponi. Il risultato è come dire: non ti illudere. Non viene data speranza al fatto che si possa uscire in modo positivo dal virus. Un messaggio positivo, da dare con attenzione, sarebbe dire che possiamo convivere con il virus e non farci schiacciare anche da un punto di vista economico, se stiamo attenti. Non sarà facile, ma lo possiamo fare. Invece si tende a spaventare come se la paura fosse una forma di prevenzione, ma non lo è. Quando si fanno campagne spaventando si ottiene il risultato contrario.
(Paolo Vites)