“L’estate sta finendo, e un anno se ne va”: finita l’estate, si fanno certi bilanci su certe cose che sono caratteristiche dell’estate. E da una decina d’anni, diciamo da quando c’è stato il boom dei social network, uno dei più tipici fenomeni estivi della ristorazione è quello degli scontrini pazzi, postati da clienti più o meno insoddisfatti per dimostrare chissà che cosa: solitamente, che quella dei ristoratori è una categoria fatta di profittatori e di disonesti, oltre che (si capisce) di evasori fiscali.
Quest’estate, però, s’è visto anche altro. Il caso più eclatante era quello che, alla prova dei fatti, non c’è stato. Ossia, lo scontrino-non-scontrino. Salvatore Antonio Grasso, titolare della pizzeria Gorizia 1916 di Napoli, il 25 agosto scorso pubblicò quello che sembrava uno scontrino molto particolare: accanto alle voci con gli addebiti delle vivande, ne comparivano altre. Citiamo: “Pizza margherita 5 euro” e “Acqua Ferrarelle 2 euro”. Fin qui, tutto ok. Poi, ecco le voci inedite: “Contributo Gas 0,50”, “Fitto 1,50”, “Energia 1,20”.
Questa singolare trovata è finita in pasto alla stampa, che ne ha confezionato il solito piattino ben cucinato: si sa, i direttori, sono sempre e comunque alla ricerca di una notizia, e per riempire una pagina non importa quanto occorra infiorettarla. Spesso a rischio di equivocarla del tutto. La bagarre sui social era ormai scoppiata. Due le fazioni. Per la prima, quella dello scontrino “trasparente” era appunto un atto di trasparenza assolutamente onesto e encomiabile. Per la seconda fazione, invece, sarebbe stato ingiusto caricare il cliente dei guai di gestione del ristoratore.
Punti di vista espressi, com’è copione su Facebook, con l’usuale mancanza di sobrietà e di calma: sui social, tutti si sentono onnipotenti, e investiti di una sorta di potere di giudizio universale, che consentirebbe di usare un linguaggio direttamente proporzionale all’indignazione provata.
Ma perché Grasso avrebbe fatto uno scontrino del genere? Presto detto: il giorno prima, le zelanti agenzie energetiche gli avevano mandato una bolletta di 8.299 euro, a suo dire rincarata del 300%, e non c’è motivo che tale aumento non fosse vero, dato che è così ovunque. “Io l’anno scorso ne pagavo al massimo 2.500 al mese, per coprire una bolletta simile dovrei fare 1.510 pizze”, si giustifica desolato. Così, dovendo aumentare i listini di un buon 20%, a un cliente che gliene ha chiesto i motivi, ha preparato due scontrini: uno con i prezzi post-aumento, e uno con quelli ante-aumento, quest’ultimo recante le voci dettagliate di gas, affitto ed energia.
La stampa ci ha inzuppato il pane. Ma i lettori avrebbero dovuto essere più attenti. A guardare le foto degli scontrini di Grasso, un particolare salta agli occhi: la scritta “Preconto”. Come ha detto lui stesso, si trattava di due “Scontrini scherzosi, fatti per provocare, per sensibilizzare”: ossia, non scontrini fiscali. Il preconto è il foglietto che viene consegnato al cliente e in cui si presenta l’importo della cena, in modo tale che il commensale possa decidere se optare per ricevuta o fattura. Dunque, un documento che non ha nessun valore legale, anche perché, se si inserissero realmente quelle voci sullo scontrino, il titolare dell’esercizio commerciale sarebbe costretto a pagarci l’Iva: e di tasse francamente ce ne sono già abbastanza.
L’account Facebook ufficiale della pizzeria ne approfitta comunque per una stoccata al mondo giornalistico: rispondendo a un lettore, il social media manager (o chi per lui) scrive che “Ci ha stupito il fatto che a usare titoli fuorvianti siano state alcune delle testate storiche, dandoci in pasto all’opinione pubblica per qualcosa che non era neanche reale”. Intanto, però, la provocazione ha dimostrato la sua piena riuscita mediatica: per qualche giorno, quasi una settimana, in Italia si è parlato molto di più del caro-bollette che rischia “mettere con le spalle al muro” (parole dello stesso Grasso) il comparto della ristorazione.
Ma non si creda che gli scontrini “tradizionali”, ossia esorbitanti, nei mesi estivi siano mancati su blog, siti web e persino giornali cartacei. Quello del pesce da 508 euro è stato uno dei più rumorosi, anche se per fortuna mitigato da alcuni interventi molto ragionevoli. Orbene: a San Benedetto del Tronto (Ap), un tale è andato a cena in uno chalet a mangiare pesce il giorno 2 luglio. Ha totalizzato un conto di 508 euro, così ripartito: 4 euro per due bottiglie d’acqua, 8 euro per quattro coperti, 56 euro per due bottiglie di vino, 100 euro per quattro antipasti-degustazione, 60 euro per quattro crudi di pesce, 280 euro per quattro primi.
Il nostro indignato speciale, di cui omettiamo il nome, ha postato lo scontrino su Facebook (scontrino peraltro scontato a 480 euro) con commenti beffardi, ed evocando perfino il fantasma di Briatore. Secondo lui, le cicale di mare con cui era confezionato il piatto “vengono dal Marocco, dalla Tunisia, sono di allevamento e costano 18/20 euro al kg”. Fonte? “Pesciaroli amici”, nientemeno. Peccato che lo chalet, per cucinare quei primi fuori menù, avesse in realtà usato le cicale grandi, ossia le magnose: il proprietario ha dovuto farlo presente, visto il trambusto. Dal canto suo Omar Leccesi, un collega ristoratore laziale molto in auge su TikTok, ha difeso il proprietario dello chalet. Forte della sua esperienza nel pesce (il suo ristorante, La Villetta a Monterotondo, provincia di Roma, si dedica alla cucina ittica), ha fatto presente la cosa: “Quattro primi con la cicala 280 euro? Ragazzi, parliamo di cicala, non uno spaghetto con il tonno in scatola. È un crostaceo rarissimo che costa tantissimo a noi ristoratori e che di conseguenza viene venduto a un prezzo alto. Ma la domanda che faccio è: quando vi vengono dati i menù, li leggete o no? La cicala costa magari 150 euro al chilo: vi arriva il ragazzo a tavola, vi dice che le cicale pesano ‘x’, nella vostra testa non vi fate un calcolo?”.
Lo stesso Leccesi, su TikTok, lo scorso maggio aveva cucinato delle tagliatelle con la cicala magnosa, decantandone le doti. Ci credete? Leccesi si è beccato insulti, ma anche complimenti. E sapete perché? Perché molti hanno creduto che Leccesi stesso fosse lo chef dello chalet dei 508 euro. Molti gli hanno detto: “Hai fatto bene a metterle a quel prezzo”. O almeno così giura lui stesso su TikTok. La conclusione di Leccesi sulla vicenda comunque è lapidaria: “La cosa bella è che in tanti hanno capito che per mangiar bene bisogna pagare”.
Quello che non si capisce, semmai, è perché uno scontrino di ristorante può fare così tanto notizia, e diventare un argomento così polarizzante. Evidentemente, i clienti dei ristoranti sono una categoria che non accenna a diminuire. Per fortuna.
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