Durante la conferenza stampa in cui Giuseppe Conte  ha illustrato l’ultimo Dpcm della serie  anti-Covid,  la parola “promessa” è stata subito corretta dal sostantivo “impegno”.  L’affermazione si riferiva  a un concetto di nuovo conio che la pandemia ci lascerà in eredità: il ristoro ovvero una sorta di risarcimento per le aziende costrette alla chiusura o alla riduzione delle attività e per i relativi dipendenti. In sostanza,  lo Stato si propone di erogare risorse non solo per compensare la mancanza di reddito dei lavoratori, ma anche il venir meno dei ricavi  dei datori. La misura è giusta, ma, a memoria di uomo, è la prima volta che persino le imprese divengano soggetti  assistiti: non per mancanza di lavoro o per cattiva gestione degli affari com’è accaduto tante volte, ma a causa dell’interdizione a svolgere la propria attività.

Il Consiglio dei ministri che dovrà varare il decreto legge con i ristori ai settori colpiti dalle nuove limitazioni imposte dall’ultimo Dpcm dovrebbe tenersi oggi, ammesso e non concesso che, nella riunione preparatoria di ieri pomeriggio,  si siano  realizzate le necessarie intese. L’obiettivo – dicono le fonti – è  quello di arrivare a un provvedimento unico che tenga insieme sia il rifinanziamento della cassa integrazione (con proroga forse fino al 31 gennaio), sia  lo stanziamento dei contributi per le attività colpite dalle chiusure. La  proroga della cassa integrazione dovrebbe essere legata al blocco dei licenziamenti, oggetto del confronto burrascoso  di mercoledì  scorso tra il Governo e i sindacati.  A questo proposito stanno circolando tra gli sherpa dell’esecutivo alcune proposte. Quella che sembra riscuotere maggior consenso prevede che le imprese con più di 15 dipendenti che stanno nel contesto cigo/cigs  se tornano nel loro normale “contatore” possono ricorrere a dei licenziamenti oggettivi  secondo le procedure previste, le altre non hanno questa possibilità. Questa ipotesi in sostanza distingue i settori più forti da quelli ancora in crisi, dove verrebbero concentrati gli aiuti.  

Con il decreto, poi,  si prevedono ristori per circa 350mila imprese, a partire da quelle della ristorazione, dello spettacolo e dello sport. Se tutto filasse secondo il crono-programma,  il decreto  dovrebbe essere pubblicato in Gazzetta ufficiale il più presto possibile, per far partire subito i bonifici, che, come ha annunciato Conte, sarebbero essere gestiti dall’Agenzia delle Entrate, come già si è fatto con altri bonus nei mesi scorsi e con risultati migliori di quelli dell’Inps.  Il decreto dovrebbe stanziare 5 miliardi di euro, di cui poco più di un miliardo destinato ai ristori a fondo perduto.

La confusione è comunque tanta. Per rendersene conto – prima ancora che all’interno della maggioranza  – sembra che sia scoppiata una babele tra i virologi e altri professionisti in materia di epidemie, visto che ormai i protagonisti di questa stagione sui media vanno a ruota libera con opinioni radicalmente diverse sulla gravità dell’epidemia e sui provvedimenti assunti per “mitigarne” gli effetti. In realtà ci sono molti dubbi sull’opportunità degli ultimi provvedimenti assunti. Soprattutto non si comprende perché si siano volute colpire attività economiche già penalizzate durante la prima fase di lockdown, che, per riaprire, hanno dovuto adottare le misure di sicurezza previste dalle norme. L’obiettivo è quello di evitare il più possibile gli assembramenti. Ma per realizzarlo si sono chiusi i posti dove gli assembramenti non sono consentiti. I cinema e i teatri, ad esempio. I posti disponibili sono contingentati per assicurare il distanziamento sociale. La stessa cosa avviene nei ristoranti, per i quali stabilirne la chiusura alle 18 – oltre a  colpire  le occasioni in cui lavorano di più quali le cene – non ha un senso compiuto a meno che qualcuno non pensi che i ristoranti si mettano ad organizzare delle merende in quei pomeriggi “gentilmente concessi” dalle autorità. 

Soprattutto – ammesso e non concesso che i “ristori” siano adeguati e che arrivino con la sollecitudine promessa direttamente sul c/c delle ditte in clausura – resta un’amara riflessione che nessuno si azzarda a fare: il Paese si è indebitato in nome delle generazioni future con l’impegno di porre le basi di un nuovo modello di sviluppo. Per adesso ci stiamo abituando a usare le risorse per sopravvivere. In questo modo ci siamo giocati gran parte dei 100 miliardi stanziati dai decreti anti-Covid, ma – se e quando ne disporremo . non sarà possibile usare così anche le risorse del Next Generation Eu.