I risultati delle elezioni amministrative 2021 non mettono in discussione il Governo, ma possono senza dubbio incidere sui tempi e i modi con i quali Mario Draghi gestirà questi tre mesi decisivi per il cammino del Pnrr. Una volta fatti i conti, bisognerà disaggregare il voto. Prendiamo la destra: andrà meglio Giorgia Meloni, alla quale fa capo il candidato sindaco di Roma Enrico Michetti, o Matteo Salvini? Entrambi hanno subito due pesanti colpi di coda proprio in extremis: il caso Fidanza riguarda il finanziamento pubblico di Fratelli d’Italia e le sulfuree frequentazioni con l’estrema destra neofascista, il caso Morisi colpisce la macchina propagandistica e lo stesso leader leghista.



Occorre vedere se gli elettori vorranno allontanarsi dalla deriva estremista che fa male alle stesse prospettive politiche di una destra che intenda guidare il Paese. Quanto al centro-sinistra, un eventuale successo di Carlo Calenda a Roma metterebbe in crisi l’asse sempre più claudicante tra Pd e Movimento 5 Stelle, aprendo per l’un partito come per l’altro il cantiere della linea politica e persino della propria identità futura. Se dalle urne uscisse una spinta al taglio delle ali e un invito a sostenere senza esitazioni i passi necessari per la ripresa, Draghi tirerebbe un sospiro di sollievo. Se invece il voto diventasse l’eco pura e semplice del rancore, della paura, dei lutti provocati dalla pandemia, allora il contraccolpo sarebbe pesante e difficile da gestire. 



Gli appuntamenti incalzano e le scadenze sono ravvicinate. Giovedì prossimo dovrebbe riunirsi un Consiglio dei ministri con all’ordine del giorno la riforma fiscale, la più complessa e divisiva insieme a quella della giustizia. Nello stesso giorno è convocata la prima delle cabine di regia fondamentali per far sì che i progetti finanziati dall’Unione Europea vengano realizzati. Non si tratta, infatti, di uno scambio di idee, ma di incontri che possono aprire la strada a un accentramento delle decisioni e delle scelte pratiche, è scritto che palazzo Chigi può commissariare le amministrazioni inadempienti, sia centrali sia locali. 



In queste settimane si sono moltiplicati segnali di preoccupanti ritardi, di confusione, di resistenze burocratiche. La prima cabina di regia sarà dedicata alla scuola con i ministri dell’Istruzione Patrizio Bianchi e dell’Università Cristina Messa. Poi toccherà alle infrastrutture. Il ministro Enrico Giovannini ha annunciato in un’intervista che 45 miliardi di euro stanno per essere trasformati in cantieri, da lui dipende una consistente fetta del Pnrr a cominciare da quella destinata alle Ferrovie dello Stato. Seguiranno altri vertici con un ritmo almeno settimanale. Draghi vuole stringere i tempi anche perché si accavallano i lavori da far partire, le riforme da completare (tra grandi e piccole ce ne sono una cinquantina) e la prossima Legge di bilancio. A cavallo di queste ultime due scadenze si collocano proprio le imposte.

Il capo del governo si è impegnato a non aumentare la tasse, a semplificarle e a cominciare un cammino che porta verso una loro riduzione, accorpando e riducendo le aliquote principali, tagliando il cuneo fiscale fin dal prossimo anno, quindi prima che l’intera riforma venga completata. Il miglioramento del Pil ha prodotto 22 miliardi di euro, con la prossima manovra la metà sarebbe destinata al fisco, il resto andrebbe agli ammortizzatori sociali, alla sanità e agli incentivi per gli investimenti privati. È un impianto che trova concorde sostanzialmente il Pd, non la Lega e, per certi aspetti, nemmeno il M5s. Per i grillini la cartina di tornasole è il Reddito di cittadinanza e vogliono salvare la loro bandiera. I leghisti insistono sulla difesa delle partite Iva e sulla flat tax. La destra (e qui si unisce anche Fratelli d’Italia) pone un veto all’intervento sul catasto, non si fida che possa avvenire a gettito invariato e non si trasformi in una vera e propria patrimoniale sulla casa. Un timore fondato, in primo luogo perché rivedere i valori catastali senza che aumentino nel loro insieme e finiscano per accrescere il prelievo, sembra molto difficile. 

Il dubbio non è solo tecnico, bensì politico: il Pd è a favore di un aggravio delle imposte sugli immobili (i più moderati vogliono esentare la prima casa, gli altri insistono che in Italia si paga comunque meno che in altri Paesi europei). Su questo punto si apre un conflitto all’interno della maggioranza che rischia di bloccare tutto. Come potrà uscirne Draghi tenendo fede all’impegno che ha assunto quando ha preso in mano la guida del Governo?

Un successo elettorale della destra darebbe forza alle posizioni di Salvini, della Meloni e di Forza Italia, per la quale ridurre le tasse è un mantra antico (e una promessa mai realizzata). Ma attenzione, anche un buon risultato a sinistra può diventare insidioso se prende fiato il “partito della patrimoniale” che ha il suo pilastro nella Cgil. Mentre i timori per l’inflazione (anche se il Governo prevede che né oggi né nei prossimi anni si arriverà a quel 2% che fa scattare il campanello d’allarme della Bce) spingono a chiedere aumenti salariali per compensare la riduzione del costo della vita. Tensioni sociali che s’aggiungono a quelle politiche. È eccessivo parlare di autunno caldo, ma può avvicinarsi in men che non si dica l’inverno dello scontento.

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