Abbiamo commentato il risultato delle elezioni in Catalogna con Dario Menor Torres, ex corrispondente dall’Italia del quotidiano spagnolo La Razón, attualmente a El Correo. Affluenza alle urne molto più bassa rispetto al 2017, quando si votò in seguito all’annullamento da parte del governo centrale spagnolo del referendum catalano per l’indipendenza. Il partito più votato è stato quello socialista guidato da Salvador Illa, ma la maggioranza sarà (di nuovo) indipendentista: con equilibri che favoriranno, però, i rapporti con Madrid. Cambia infatti la piramide dei tre partiti indipendentisti, con in testa ERC (Esquerra Republicana de Catalunya, la Sinistra Repubblicana di Catalogna), seguito da Junts (Junts per Catalunya), il partito dell’ex Presidente Carles Puigdemont, e da CUP, Candidatura popolare unita. Preoccupa, intanto, l’emergere dell’estrema destra nel Parlamento catalano, che sta assorbendo i consensi di chi, in opposizione al radicalismo degli indipendentisti, non si sente più rappresentato dalla destra moderata e liberale.
Gli esiti delle elezioni ci dicono finora che i tre partiti indipendentisti della Catalogna potrebbero allearsi ottenendo la maggioranza assoluta, come commenta questo risultato?
Sembra che sia la possibilità più vicina, di nuovo un’alleanza dei tre principali partiti indipendentisti della Catalogna, ma con un importante cambio dei ruoli: il primo partito, ERC, è andato avanti rispetto alle elezioni precedenti, e adesso il secondo partito fra gli indipendentisti è Junts, il partito dell’ex Presidente Puigdemont, che ha un atteggiamento verso l’indipendenza più aggressivo, più diretto. La scommessa di ESC è invece provare ad allargare la base degli indipendentisti, loro però sono coscienti che nella situazione attuale è molto difficile che ci sia un’indipendenza della Catalogna sul breve termine, e lavorano più sul medio-lungo termine.
E poi dovranno mettersi d’accordo anche con il terzo partito indipendentista del Parlamento.
Sì, CUP, che è un gruppo di estrema sinistra, con componenti anche anti-sistema. Non sarà basso il prezzo di questo partito. Questa comunque è al momento la possibilità più prossima.
Quali sono gli altri scenari?
L’altra possibilità sarebbe una grande coalizione dei partiti di sinistra. Non bisogna dimenticare che il primo partito nelle elezioni, quello che ha avuto più voti – anche se poi ha ottenuto lo stesso numero di stessi seggi di ESC – è stato il Partito socialista, guidato in queste elezioni da Salvador Illa, ex ministro della Sanità del governo centrale della Spagna. Il PSC ha praticamente raddoppiato il numero di seggi rispetto alle elezioni precedenti. Ci sarebbe una possibilità di un’alleanza fra ESC, PSC e En Comun Podemos, il marchio catalano del partito Podemos, i socialisti già alleati col governo centrale della Spagna.
Questa seconda possibilità cosa implicherebbe?
Significherebbe cambiare completamente la politica catalana rispetto alla situazione che abbiamo visto negli ultimi dieci anni, di confronto-scontro fra due blocchi: uno indipendentista, l’altro non indipendentista.
Quali sarebbero le prospettive dei rapporti con Madrid, nei due scenari?
Per il governo Sánchez la cosa importante per provare a cambiare i rapporti con la Catalogna è che il partito di Puigdemont, Junts, non sia di nuovo il primo partito fra gli indipendentisti, e non lo è. ESC è stato un partito che ha votato a favore nella mozione di fiducia del governo di Sanchez, ha votato a favore anche per approvare la finanziaria. Il fatto di avere un rapporto con Esquerra invece che con Junts prospetta già una situazione più positiva. Sánchez aveva fatto una scommessa mettendo il suo ministro della Sanità come candidato, e l’ha vinta, perché ha avuto un ottimo risultato. Il problema è che non sappiamo quanto sia possibile che lui vada al governo.
Oggi sembra improbabile?
Oggi sembra abbastanza difficile l’idea di un’alleanza di sinistra, e anche Illa, quando ha visto ieri (14 febbraio, ndr) i risultati, ha detto che se questo cambiamento non avviene adesso avverrà più avanti. Illa ha fatto un discorso politico che cerca di superare la contrapposizione di questi anni, un discorso che guarda, anche per il futuro, a una politica che vada più in là della tradizionale frattura in due blocchi di cui parlavo prima.
Lo scenario a destra invece come si è modificato?
C’è stata l’irruzione di un partito di ultra-destra che non esisteva nel Parlamento catalano e che si chiama Vox, sono alleati di Fratelli d’Italia nell’Europarlamento. Il fatto che sia nato questo partito a livello nazionale e il fatto che abbia avuto in queste elezioni un vantaggio sul Partido Popular, il partito tradizionale dei conservatori spagnoli, partito di ideologia liberale di centro-destra.
Si è radicalizzata la destra?
Sì, si tratta di una reazione di una parte dell’opinione pubblica contro l’indipendentismo, nata dalla volontà di prendere posizioni più radicali in opposizioni a quelle indipendentiste. Bisogna fare attenzione perché è un fenomeno nuovo per la Spagna.
L’affluenza è stata piuttosto bassa. Questo possiamo davvero attribuirlo solo a un fattore non politico, l’imperversare della pandemia, in Catalogna piuttosto pesante?
Ci sono due fattori. Uno, come lei ha detto, è il Coronavirus, molti hanno avuto paura, anche se per fortuna è andato tutto bene. Sicuramente un’affluenza più alta avrebbe determinato risultati diversi, la vittoria dei socialisti sarebbe stata più alta, perché l’affluenza nelle zone dove tradizionalmente si vota più socialista, come Barcellona e l’area urbana della Catalogna, è stata più bassa rispetto alle zone rurali, dove gli indipendentisti sono maggioritari.
E l’altro elemento?
L’altro elemento è il confronto con quanto è successo nelle elezioni precedenti, nel 2017, quando si è votato subito dopo il trauma del referendum per l’indipendenza organizzato dagli indipendentisti, non riconosciuto dallo Stato spagnolo in quanto privo di garanzie legali, era uno pseudo-referendum. In quella circostanza il governo ha cancellato temporaneamente l’indipendenza della Catalogna e ha subito indetto le elezioni, sono state elezioni “traumatizzate”, in cui tante persone sono andate a votare perché era un momento in cui era in gioco il futuro della Catalogna. Adesso invece la situazione, anche se non si è normalizzata, si è abbastanza tranquillizzata. Questo può aver fatto sì che persone che nel 2017 sono andate a votare pensando che fosse assolutamente necessario dire la propria in quel momento, ora non sentissero la stessa urgenza.
I tempi per un nuovo governo quali saranno?
A metà marzo dovrebbe esserci già un governo, se non si arriverà a un accordo bisognerà rifare le elezioni a luglio, ma credo sia improbabile.
(Emanuela Giacca)