Cerchiamo di vedere da vicino i risultati delle elezioni in Emilia Romagna. Salvini, dopo aver interrotto nell’agosto scorso l’esperienza del governo gialloverde, constatata l’indisponibilità del Presidente Mattarella a sciogliere le camere ed andare ad elezioni anticipate, si è prefissato lo scopo di usare tutte le scadenze elettorali regionali per dimostrare che l’attuale Parlamento non rappresenta più il Paese reale e dare, conseguentemente, una spallata al governo Conte 2.



Il leader della Lega ha ritenuto di perseguire questo progetto, anzi enfatizzandolo, anche in occasione delle elezioni in Emilia-Romagna, pur sapendo che questa è una Regione tradizionalmente ben amministrata e compete con Lombardia e Veneto per conquistare il ruolo di prima Regione italiana. Era evidente fin dall’inizio che si trattava di un notevole azzardo e che la partita sarebbe stata molto dura.



In un mio articolo, pubblicato su questa testata all’indomani della schiacciante vittoria del centrodestra in Umbria, evidenziavo tale azzardo con queste parole:

Tuttavia in questa Regione è indispensabile avvicinarsi all’appuntamento del 26 gennaio con convinzione sì, ma con altrettanta prudenza. Qui la partita sarà molto più difficile per almeno quattro motivi:

1. Le malefatte degli amministratori di sinistra (che pure ci sono state) non hanno mai avuto la risonanza mediatica di quelle del Pd umbro: basti pensare al silenziatore che tempestivamente è stato messo all’orribile vicenda di Bibbiano.



2. La crisi economica (con il conseguente disagio sociale) iniziata un decennio fa ha colpito duro anche in Emilia-Romagna, ma non ha causato un crollo del Pil paragonabile a quello che si è verificato in Umbria.

3. L’intreccio perverso fra politica, economia, finanza, larghi strati del terzo settore, mondo cooperativo e apparati amministrativi locali e regionali ha ancora oggi in Emilia-Romagna un radicamento e una pervasività che non ha paragoni con nessun’altra situazione.

4. La capacità di mobilitazione del Pd, pur non paragonabile con quella del vecchio Pci, è ancora tutt’altro che da sottovalutare e sarà sfruttata al limite delle sue potenzialità da un partito che sa che il 26 gennaio si giocherà non un’amministrazione regionale, ma il governo di cui è perno e, probabilmente, il suo destino.

In una situazione come questa sarà assolutamente decisiva per la vittoria finale la capacità dei candidati di saper parlare non solo alle proprie truppe, già ampiamente sensibilizzate e mobilitate per la battaglia, ma a quelli che da tempo non entrano in gioco e si rifugiano nell’astensionismo.

A mio giudizio, fra queste centinaia di migliaia di elettori una parte significativa è rappresentata da cittadini cui non viene “naturale” prendere posizione in un assetto politico caratterizzato da fortissime contrapposizioni, che spesso sfociano quasi nell’insulto. A questi va fatta una proposta più ragionata che urlata, fatta di proposte e impegni realistici più che slogan.

Spero che il centrodestra sappia coprire anche questo spazio politico, garantendosi una vittoria molto probabile”.

Alla situazione così irta di ostacoli, si è aggiunta poi la discesa in campo delle sardine, in un momento in cui il candidato della sinistra sembrava effettivamente in affanno e non in grado di smuovere le truppe della sinistra, a causa del profilo un po’ troppo tecnico ed amministrativo della sua campagna e della decisione del M5s di non allearsi esplicitamente con il Pd, ma di correre autonomamente, con un personaggio di bassissimo profilo.

A quel punto era piuttosto evidente che la possibilità di vittoria del centrodestra era legata alla capacità di rassicurare l’elettorato sulla qualità della futura gestione amministrativa e recuperare una parte significativa del popolo rifugiatosi nell’astensionismo.

Esaminando l’esito delle elezioni di ieri alla luce di queste valutazioni, mi sembra si possano fare schematicamente alcune osservazioni, in attesa di ulteriori approfondimenti che potranno ricavarsi da un’analisi più approfondita dei flussi elettorali.

1. Il tentativo di usare le elezioni come spallata a Conte ed accelerare la fine della legislatura non è riuscito;

2. il duello fra Bonaccini (+3,27% rispetto alle liste che lo sostenevano) e la Borgonzoni (-1,76%) su competenza e capacità amministrativa si è risolto a favore del presidente uscente, premiato da una percentuale del 51,4%. Tuttavia la sfidante non ha sfigurato, dal momento che ha ottenuto in termini assoluti circa 35mila voti in più dei voti presi dalla sua coalizione (1.008.851 contro 974.186), contro i circa 163mila di Bonaccini;

3. il M5s è letteralmente evaporato, andando sotto il 5% e contribuendo alla vittoria di Bonaccini con circa 21mila voti disgiunti;

4. le sardine, come prevedibile, politicizzando lo scontro con Salvini, hanno contribuito a far uscire molti elettori di sinistra dall’astensionismo in cui si erano rifugiati nelle precedenti elezioni amministrative: infatti le percentuali dei votanti fra europee e regionali quasi si sovrappongono (67,30% contro 67,67%). Sul versante opposto, Salvini, con la sua campagna, ha sempre più galvanizzato i suoi, ma non è riuscito ad intercettare il voto di indecisi e non votanti: è significativo che in voti assoluti la Lega abbia perso, rispetto alle europee del 2019, circa 75mila voti;

5. Forza Italia è crollata a percentuali da prefisso telefonico (2,56%) e l’analisi dei flussi ci dirà dove sono confluiti i circa 80mila voti persi rispetto alle europee del 2019;

6. anche gli elettori del centrodestra, in una percentuale vicina al 2%, hanno usato il voto disgiunto a favore di Bonaccini. Questo, in fondo, non fa altro che confermare un fenomeno già visto in precedenza: degli elettori che “politicamente” si riconoscono nel centrodestra e lo votano, ma che quando si passa ad un livello “amministrativo”, scelgono amministratori del fronte avversario (ad esempio, nel mio Comune, Cesena, in occasione delle ultime europee, che avvenivano in contemporanea con le elezioni amministrative, la Lega prese il 29,91% alle europee, ma il 19,41 nelle amministrative, Forza Italia il 5,47% contro il 2,88, Fratelli d’Italia il 3,79% contro l’1,65).

Cercando di trarre alcune conclusioni politiche da questa tornata elettorale, evidenzierei quanto segue.

È giusto che Zingaretti tiri un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, ma senza trionfalismi: in fondo il Pd si è sostanzialmente ripreso i voti dei suoi elettori che erano confluiti nel M5, e il fatto determinante per la vittoria credo sia stato il contributo “civico” della Lista Bonaccini, che mi guarderei bene dal considerare un patrimonio acquisito alla sinistra anche in caso di elezioni politiche. Inoltre il segretario del Pd dovrà individuare come rendere strutturale il sostegno ricevuto dal movimento delle sardine, come sfruttare il ridimensionamento dei 5 Stelle a livello di azione di governo e, soprattutto, se abbia senso continuare a perseguire una riforma in senso proporzionale della legge elettorale.

Salvini, insieme al centrodestra, dovrà individuare un registro dai toni meno urlati, per riuscire a parlare a quell’elettorato moderato che c’è, ma che ancora non riesce a trovare adeguata espressione politica, viste le gravi difficoltà di Forza Italia. Queste elezioni hanno sicuramente segnato per lui una battuta d’arresto e dovrà accettare l’ipotesi di una fine non imminente della legislatura, ma ci sono alla vista altre elezioni regionali in cui, venute meno le caratteristiche peculiari dell’Emilia-Romagna, la vittoria del centrodestra è alla portata e potrebbe indebolire ulteriormente il governo Conte.

La strategia renziana mostra in modo sempre più evidente la sua fragilità, per cui vedo difficile che la sua permanenza all’interno dell’attuale maggioranza di governo possa servirgli a consolidare il suo progetto politico “centrista”.

Non è detto che il governo Conte esca più forte da queste elezioni: il suo destino è legato alle scelte che faranno Zingaretti e Renzi, come pure la possibilità che la legislatura continui senza ulteriori scossoni, vista la notevole ridefinizione dei rapporti di forza fra i partiti che sostengono il governo.

Il M5s, vero sconfitto di questa tornata elettorale, dovrà prendere atto che lo schema bipolare, troppo affrettatamente dato per morto, sembra consolidarsi e sarà costretto a trarne le dovute conseguenze, pena la condanna all’assoluta irrilevanza.