I risultati delle elezioni in Francia 2022 saranno la cartina di tornasole del destino che attende l’Ue e l’Europa nei prossimi anni.
Il nazionalismo grande-russo putiniano ha colto l’occasione ucraina per scaricare all’esterno della Russia le sue crescenti contraddizioni. In primis quella della crisi demografica in una nazione immensa circondata da avversari, se non da nemici. Una crisi accompagnata da un sottosviluppo economico che sconta oggi tutta la depredazione neo-liberista consentita dal dominio eltsiniano guidato dai Chicago Boys à la Jeffrey Sachs e che ha ridotto la Russia a una nazione che esporta materie prime agricole e minerarie, mentre continua, però, a detenere una delle chiavi del conflitto termonucleare mondiale. La crisi interna di un potere policefalo che, nell’autocrazia, non riesce più ad agglutinarsi, si riversa, con l’aggressione all’Ucraina, all’esterno. Si infrange sulle frontiere degli Stati aderenti alla Nato e di quelli aderenti all’Ue. Non sono la stessa cosa e proprio questo, a differenza di ciò che comunemente si crede, impedisce all’Europa, come insieme di Stati legati da Trattati, di non potersi sottrarre alla necessità, per l’equilibrio e la pace, di sviluppare quella politica di potenza unitaria continentale che le differenze nazionali rendono sino a oggi impossibile.
L’adesione della Svezia e della Finlandia alla Nato sposterà il peso della bilancia politica verso le nazioni baltiche e scandinave, diminuendo l’estensione di potenza tedesca e rafforzando di fatto una Francia che potrebbe tornare a svolgere il ruolo (sfortunato ma lungimirante) che essa si auto-attribuì genialmente tra le due guerre mondiali nella Mitteleuropa e in Polonia, dove le radici di una collaborazione secolare sono ancora fortissime e benefiche.
Per questo, in un contesto di relazioni internazionali future incerte come quello di oggi, le elezioni presidenziali francesi sono una tappa importantissima per il cammino che segna il destino dell’Europa: un destino che può biforcarsi. O verso una maggiore autonomia di potenza anche nella Nato, oppure verso una perdita del potere di iniziativa e di moderazione dell’unilateralismo nordamericano che è sempre più una necessità vitale sia per gli Usa, sia per l’Europa e lo stesso Regno Unito, pena la disgregazione dell’appena raggiunta anglosfera.
Tale unilateralismo è un dato di fatto ineludibile sino a oggi e sino a oggi catastrofico: mentre si professa il multilateralismo liberale e liberista con la mano destra, con la mano sinistra si bombarda e si invadono Stati strategici come il l’Iraq aprendo – come con le Primavere arabe fallite – la strada al fondamentalismo islamico in Africa e nell’Heartland. L’ammonimento che viene dalla tragedia della ritirata afghana, fallimentare sino all’inverosimile, non sarà mai abbastanza compreso.
Se Macron vincerà le elezioni, com’è fortemente probabile, la riduzione di potenza internazionale della Francia continuerà a essere penosa e profonda e trascinerà con sé sempre più tutta l’Europa, prima che l’Ue. La presidenza francese dell’Ue è stata già un fallimento che solo la guerra di aggressione russa e la crisi energetica possono dissimulare. Il macronismo è la distruzione della forza civica della Francia attraverso la distruzione delle sue storiche roccaforti politiche e istituzionali: lo stato napoleonico e l’Armé.
Le lacerazioni tra le nazioni europee sono profondissime e si acuiranno per l’incapacità di Macron di sviluppare una politica di potenza francese che ricordi solo lontanamente l’orgoglio gollista e il radicalismo repubblicano di Jean-Pierre Chevènement: i due soli grandi leader, De Gaulle e Chevènement che la Francia ha prodotto nel secondo dopoguerra, oscurati dalla fumoseria letteraria fascinosissima di Mitterrand. Macron ha fatto in Francia ciò che in Italia ha fatto la liberalizzazione dall’alto voluta dagli Usa e dal Regno Unito usando la magistratura e la crisi morale di una nazione già esausta dalla confusione istituzionale e dall’incapacità espansiva a livello internazionale della sua alta borghesia industriale e statual-finanziaria.
La vittoria della Le Pen, invece, scardinerebbe l’equilibrio di potenza sia della Nato, sia dell’Ue, generando una paralisi istituzionale profondissima e devastante economicamente, sconvolgendo i piani dell’asse franco-italico-spagnolo e greco che fatica a formarsi, ma che sarà inevitabile. La Mitteleuropa, dal canto suo, si avvierà ad avere delle nazioni aderenti alla Nato senza volerlo sino in fondo, se non in funzione anti-russa e che ritroveranno con la Germania quella rivalità che sempre risorge dopo anni e anni di dominazione economica e di afasia culturale e strategica, come e peggio del quindicennio merkeliano, tragico e indimenticabile nella sua gravità.
Una scelta, quindi, tra due alternative possibili che si dovrà compiere senza terminare di rammaricarsi della sconfitta di Mélenchon, il cui “partito politico di movimento”, pur con tutte le sue profonde debolezze ideologiche, riunisce attorno a sé un complesso multietnico e multireligioso di forze che raccolgono la protesta e l’indirizzano verso il grembo dei valori istituzionali e repubblicani che sono la forza morale e quindi civile della Francia che amiamo. Un appuntamento denso di attese e di rilevantissime conseguenze.
Come sempre, quando si tratta della douce France.
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