La Gauche francese – nel suo brand odierno “mai sottomessa” – accetterà di allearsi con un presidente-tecnocrate centrista sul viale del tramonto? In nome “resistenza alla destra” si assocerà nel round finale alla scommessa di Emmanuel Macron, giunto solo terzo e distanziato al voto-verità di ieri?
Ieri sera l’Eliseo ha atteso soltanto pochi minuti – dopo la chiusura delle urne del primo turno delle legislative – per chiamare un “fronte democratico nazionale” e fermare ai ballottaggi di domenica prossima l’avanzata del Rassemblement National di Marine Le Pen (ieri subito eletta) e di Jordan Bardella. In attesa che i polls si trasformino in risultati effettivi e i 4 campi (RN, centrosinistra, campo macroniano e gollisti) decidano le loro strategie, il dato-chiave è che la destra ha addirittura migliorato il risultato dell’eurovoto di tre settimane fa: dal 31,5% al 34% del voto popolare stimato (al quasi raddoppio del 18,6% del primo turno 2022), con un’affluenza molto aumentata (dal 51,4% al 69% dei rilevamenti preliminari).
Il partito lepenista è dunque oggi indiscutibilmente il primo in Francia, e in vista del secondo turno può già contare sulla decisione dei Républicains (gollisti, accreditati dai polls del 10%) di non dare indicazioni per il 7 luglio. Le proiezioni, tuttavia, non consentono ancora di prevedere se la destra-centro possa raggiungere la maggioranza dei seggi nella nuova Assemblea nazionale. È comunque probabile che avvicini molto “quota 239”.
Il Nouveau Front Populaire – cartello elettorale d’emergenza fra i neo-socialisti di Raphael Glucksmann e la sinistra antagonista di Jean Luc Mélenchon – ha ridato cittadinanza (29%) a un settore storico della politica francese: quello che ha espresso un presidente come François Mitterrand e – ancora nel 2012-17 – François Hollande. Ma il difficile comincia ora. Glucksmann (figlio di un celebre nouveau philosophe post-sessantottino) è il candidato premier “in pectore” della coalizione di salute pubblica invocata da Macron: ma saprà, anzitutto, conquistare la maggioranza parlamentare domenica prossima? E al di là del “no alla destra” quale programma politico unitario potrà convincere la maggioranza dei francesi?
Il declino politico di Macron dopo la rielezione all’Eliseo è iniziato di fronte al muro politico-sindacale eretto dalla sinistra contro la riforma delle pensioni (simbolo di un rigore finanziario che l’Ue chiede oggi a Parigi forse più che a Roma). Per non parlare del massimalismo sulla transizione verde – avversato anche dalla destra – e dell’insistenza di Macron sul ritorno al nucleare.
Nel frattempo il “campo macroniano” ha mostrato in via forse definitiva i suoi limiti. Secondo i polls, si è fermato poco sopra il 20%: in recupero rispetto al drammatico 13,5% dell’euro-voto, ma al di sotto degli “score” del primo turno della rielezione di Macron, due anni fa, e delle legislative successive (25,5%). Il presidente francese – leader per molti versi “apolitico” di un “non partito” – si è issato due volte all’Eliseo grazie al meccanismo dei due turni, ma non ha mai rappresentato più di un elettore francese su quattro. E neppure la disperata scommessa giocata la sera dell’eurovoto ha sciolto il nodo storico della sua leadership. “Ensemble” è oggi solo la terza forza politica in Francia e i suoi spazi di manovra – sempre minori – sono legati a divisioni che proprio le elezioni-choc hanno forzato a ricomporsi, a destra come a sinistra. I poteri del semipresidenzialismo della Quinta Repubblica francese appaiono infine sempre più anomali in mano a un presidente chiaramente senza maggioranza (e forse la Francia è pronta anche per ridiscutere la riforma “anti-parlamentare” del 1958).
L’inventore di quel riassetto costituzionale – il generale Charles de Gaulle, capo ed eroe della Francia Libera antinazista – sopravvisse all’onda d’urto del Sessantotto, ma per poco: già nel 1969 si dimise avendo palesemente perduto la fiducia dei francesi. Sembra difficile (anche se non impossibile) che Macron faccia lo stesso subito: più probabile che nell’immediato provi a capitalizzare i suoi poteri residui in Europa (dov’è stato lui a ispirare la corsa alla riconferma di Ursula von der Leyen a Bruxelles, preannunciando già la conferma del “suo” Commissario Thierry Breton).
Il bivio, però, si profila per lui problematico: sia in caso di “coabitazione” con Bardella a capo di un Governo di destra-centro; sia se a Matignon approdasse un leader di centro-sinistra (l’ipotesi di un Esecutivo tecnico, non impossibile, sembra poco realistica). In entrambi i casi avrà addosso i fari dell’Europa: dove il suo credito di “crociato democratico” potrà garantirgli qualche respiro, ma limitato dalla sua non-rieleggibilità nel 2027, già oggi senza eredità.
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