RISULTATI ELEZIONI GRECIA 2019. Adesso è la volta del conservatore Kyriakos Mitsotakis, un politico liberale, ma soprattutto l’uomo del post-memorandum. E’ la sua vittoria personale. Predicare bene, ma razzolare male.

Per tre tornate elettorali i greci hanno votato leader che del populismo avevano fatto la loro bandiera. Tutti e tre hanno apposto la loro firma sul proprio Memorandum. Per la verità il terzo, quello firmato da Alexis Tsipras, era evitabile, a condizione che la ragione avesse prevalso sulle false promesse (in Grecia le hanno definite «bugie», Tsipras ha preferito parlare di «illusioni»), e sulle assurde dialettiche «psico-cazzute» di quel gran venditore di fumo che rispondeva al nome di Yanis Varufakis, che si presentava alle riunioni ufficiali con camicia viola fuori dai pantaloni.



D’altra parte agiva su mandato del primo ministro, che a suo tempo lo aveva definito un importante «asset» del suo governo. Oggi, suo antagonista, entra in Parlamento, così si assisterà allo scontro tra due rappresentanti della sinistra (in Parlamento saranno quattro le formazioni di sinistra). Comunque, i numeri suggeriscono che il termine «sinistra radicale» sia posto in sospensione di giudizio, così pure la presunzione di «superiorità morale» tanto abusato dalla sinistra per quattro anni e mezzo.



Di qui in avanti vedremo come Tsipras saprà fare opposizione: ancora nelle piazze, oppure con concrete proposte alternative. La sua campagna elettorale indica che continuerà a polarizzare il sistema politico, lanciando accuse pesanti e annunciando disastri – tipo ritorno del Fmi e nuovo Memorandum, taglio delle pensioni, licenziamento di impiegati pubblici (30mila assunti negli ultimi mesi, calata la percentuale di disoccupati) e così via. Purtroppo la sua formazione politica, durante la militanza nel partito comunista, si è sbozzata con occupazioni universitarie e lotte studentesche. Nient’altro da segnalare.



Per ora Kyriakos Mitsotakis ha predicato bene, poi si vedrà. E’ la sconfitta del populismo? Certamente no. Diciamo che ha socialmente modificato le sue caratteristiche. Fa parte del Dna della cultura politica di questo Paese. D’altra parte è incredibile quanto sia politicamente ancora vantaggioso portare un cognome di rango. E’ valso per Kostantinos Karamanlis, nipote di un ex primo ministro, il vero artefice della crisi economica, per Jorgos Papandreu, figlio di Andreas, ex primo ministro, vale oggi per Kyriakos, figlio di Kostantinos, ex primo ministro, appartenente, come si dice qui, a un «grande camino». Anche se con toni più realistici, anche lui ha fatto tante promesse, senza esimersi dalla prosa velleitaria e onirica. La differenza tra lui e i suoi predecessori sta soltanto nel fatto che di Memorandum non si parla più, che la Grecia non dovrà più adeguarsi ai desiderata della Troika. La Grecia ha acquistato una sua certa «indipendenza» economica, anche se resta un sorvegliato speciale, fino al 2060 (anno in cui il suo debito sarà estinto).

Il suo obiettivo è far rialzare la testa al Paese. Si calcola che soltanto nel 2033 la Grecia ritornerà alle percentuali pre-crisi del 2009. Con un politica economica espansiva, con riforme e liberalizzazioni, con ordine pubblico e la riforma della giustizia. Negli ultimi mesi, la Borsa di Atene è cresciuta del 45%. Lo spread sui Bund tedeschi si è ridotto da 420 a 240 punti. Uno sprint che secondo tutte le analisi delle banche d’affari si spiega con la vittoria di Nea Demokratia. Tuttavia la corsa verso la ripresa economica per il momento è frenata dal 3,5% di avanzo primario, imposto dai creditori.

La cartina di tornasole sarà quando Atene dovrà affidarsi ai mercati per il suo finanziamento. Mitsotakis ha promesso che tratterà con gli europei una percentuale più ridotta, che consenta di liberale risorse per gli investimenti pubblici. Altro elemento di instabilità è la situazione della banche, gravate da crediti in sofferenza che stanno toccando il 50%, dai capital controls, da erosione dei conti correnti.

Ma il nuovo primo ministro dovrà fare i conti con le diverse anime del partito: liberalismo, destra sociale, statalismo e purtroppo una certa dose di populismo. E’ vero, la sua presidenza ha imposto un’agenda nuova, ma alcune cattive consuetudini clientelari sono dure a morire, anche perché portano ancora voti. E quelli che arrivano dalla Chiesa ortodossa sono voti ancora «pesanti».

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