RISULTATI ELEZIONI GERMANIA. In 72 anni la Germania “occidentale” e poi riunita ha conosciuto una sola “repubblica”: multipartitica anche se sostanzialmente bipolare su Cdu-Csu e Spd; aperta comunque a coalizioni “grandi” (come quella fra i due partiti maggiori in 12 dei 16 anni di Angela Merkel) oppure “piccole”: con l’intervento frequente dei liberali (Fdp in partnership prima con Spd,  poi con la “Union”) oppure dei Verdi (a fianco dei socialdemocratici negli anni di Gerhard Schroeder).



Dopo il voto di ieri è probabile – ma non ancora certo – che anche Berlino entri in una sorta di “seconda repubblica”: peraltro simile alla Prima italiana, con un Parlamento frastagliato e ben poco bipolare (anche se Cdu-Csu e Spd assieme continueranno a controllarne più del 50%).

È in un lunedì post-elettorale degli anni 70-80 in Italia che si sarebbe discusso accanitamente di percentuali “prefisso telefonico”, quelle che per ore, ieri sera, hanno separato nelle prime proiezioni i due maggiori partiti tedeschi: testa a testa per aggiudicarsi il primato relativo dei seggi al Bundestag e il diritto effettivo a reclamare la cancelleria per il proprio leader. Soprattutto: per la prima volta è reale la prospettiva  che a Berlino si formi una maggioranza composta da più di due forze. E l’esito tendenziale del voto mantiene in prima battuta esplorabili varie combinazioni numeriche, tutte politicamente praticabili.



Se la Spd si confermerà alla fine dello spoglio come primo partito per voti e per seggi parlamentari, sarà Olaf Scholz, vicecancelliere uscente, a scendere in campo: forte anche dell’eccezionale recupero dai sondaggi di soltanto quattro mesi fa. Sulla carta ha in mano quattro possibili “tris”. Nell’ordine di consistenza stimata della maggioranza: “Kenia” (Spd/Cdu-Csu/Verdi); “Germania” (Spd/Cdu-Csu/Fdp); “Semaforo” (Spd/Verdi/Fdp); e “Rossoverde” (Spd e Verdi con Linke, che però sarebbe sul filo della maggioranza al Bundestag ed è tuttora subordinata alla permanenza degli ex comunisti al di sopra della soglia elettorale del 5%).



Naturalmente Scholz avrebbe a disposizione anche la continuità con la “Grosse Koalition” del governo Merkel uscente: ma il leader Spd, negli ultimi giorni, ha escluso di voler ripartire dalla maggioranza in carica dal 2013. E poi per ogni “continuità” dell’asse con Cdu-Csu occorrerà nell’immediato il benestare di Armin Laschet, il leader popolare che è il vero sconfitto della domenica elettorale (Cdu-Csu sono al minimo storico, quasi alla metà del massimo storico di Merkel). Fra i vincitori della giornata ci sono indubbiamente i Grunen di Annalena Baerbock: benché abbiano conseguito uno “score” quasi dimezzato rispetto ai sondaggi primaverili, che assegnavano addirittura “chance” di primato. Più pesante di quanto possa sembrare, dal canto suo, la conferma con leggero progresso dei liberaldemocratici.

A dare la carte sarà in ogni caso Scholz e in un quadro incerto e complesso non sarebbe affatto sorprendente se cominciasse a giocare “Semaforo”: provando a far sintesi di due esperienze collaudate (l’asse lib-lab di Willy Brandt e Helmut Schmidt e la più recente alleanza di Schroeder con i Verdi di Joschka Fischer). L’ipotesi di un governo laico si presenta impegnativa ma ambiziosa: la netta voglia di “svecchiamento” dell’economia e della società tedesca dopo la Grande Stabilità Merkeliana ha certamente espressioni forti sia nelle istanze dei Grunen che in quelle dei Freie Demokraten, entrambe in buona sintonia con il “Recovery Spirit” dell’Europa di Emmanuel Macron e Mario Draghi. Tuttavia le grandi direttrici strategiche della digitalizzazione e della transizione energetica finanziate a debito andranno verificate sia nei “desiderata” concreti dei partiti, sia in quelli fortissimi dell’Azienda-Germania. Senza contare che l’eredità politica profonda dell’era-Merkel resta il pareggio di bilancio: per il quale adoggi vota tuttora la “maggioranza silenziosa” dei tedeschi (molti dei quali, ieri, hanno dirottato per questo sulla Spd molte preferenze iniziali per i Verdi).

Per questo non è affatto improbabile che alla fine la Germania si ritrovi governata da una “Coalizione Più Grande”: cioè imperniata ancora sui due partiti maggiori ed estesa o a Fdp (forse più probabile) o ai Verdi (meno probabile ma non impossibile). Quel che è certo è che i tempi saranno prevedibilmente lunghi  (nel 2017 Merkel ci mise comunque sei mesi a chiudere un nuovo “contratto di governo” con la Spd). Salvo colpi di scena, ci sarà ancora la supercancelliera uscente a rappresentare Berlino al G20 di fine ottobre a Roma: quando – ospite Mario Draghi – l’Europa dovrà sistemare molte partite, anzitutto il suo riposizionamento rispetto a Usa e Cina. E l’appuntamento difficilmente sarà neutro rispetto alla formazione del nuovo Governo tedesco.

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