LONDRA — Boris Johnson resta al numero 10 di Downing Street e conquista una solida maggioranza parlamentare, mentre l’opposizione laburista accusa una sconfitta senza precedenti. Il risultato di queste elezioni Uk ci dice due cose: la prima è che il popolo britannico ha scelto Brexit ancora una volta, a tre anni e mezzo dal referendum; la seconda, che il partito laburista dovrà rivedere il suo radicale spostamento a sinistra sotto la leadership di Jeremy Corbyn.
Se gli exit poll sono confermati, la solida maggioranza conquistata dai conservatori in queste elezioni dimostra che i britannici non hanno cambiato idea sulla Brexit.
A dispetto della tesi che qualcuno ha cercato di far passare in questi anni, secondo la quale chi ha votato Brexit al referendum se ne sarebbe pentito. Spuntava spesso nei media ed è circolata nell’opinione pubblica di molti paesi europei, alimentata da certi giornali britannici che quasi quotidianamente, per anni, ci hanno propinato scenari economici catastrofici, previsioni di “doom and gloom” nel tentativo di convincere l’opinione pubblica che il voto del 2016 è stato uno sbaglio.
Queste elezioni imponevano una scelta di campo tra il partito conservatore, che della Brexit ha fatto la sua bandiera, e le opposizioni. I laburisti, divisi al loro interno sulla questione, non hanno mai preso una posizione chiara, rimandando al popolo la decisione in un secondo referendum. Hanno invece puntato tutto su una politica di stampo socialista per cambiare il paese e rivitalizzare i servizi pubblici. I liberal-democratici si sono opposti nettamente alla Brexit, promettendo di revocarla in caso di vittoria. E contro la Brexit si è posizionato anche il partito nazionalista scozzese (Snp) che attinge voti da una regione dove il 60% ha votato remain al referendum.
Alla chiusura delle urne i primi exit poll già davano il quadro di una devastante sconfitta per i laburisti: 368 seggi ai conservatori, solo 191 ai laburisti, 55 all’Snp, 13 ai liberal-democratici. Poi, nel corso della notte, lo spoglio ha confermato il crollo del cosiddetto “muro rosso” in molte circoscrizioni. Un disastro di dimensioni tali da portare, inevitabilmente, alle dimissioni di Corbyn e della sua cerchia di fedelissimi.
Chi invece ha vinto la scommessa è Boris Johnson, che ora passerà davvero alla storia come il premier che ha fatto la Brexit. Johnson ha incassato il mandato che cercava e, forte della maggioranza in Parlamento, potrà finalmente “get Brexit done”. Lo ha ripetuto fino alla nausea in questa campagna elettorale. Nemmeno lui forse s’aspettava una tale valanga di voti. Gli ultimi sondaggi mostravano i Tories in difficoltà, nel senso che il notevole gap che li staccava dal Labour a inizio campagna si era molto ridotto a ridosso delle elezioni. Nel corso della campagna elettorale Johnson non sembrava essere riuscito a conquistare gli indecisi. Non è sempre stato brillante nelle interviste, o convincente nei dibattiti tv. Spesso girava intorno alle domande, o non faceva che ripetere i suoi slogan sulla Brexit. Però non si è risparmiato viaggi da una parte all’altra del Regno Unito per incontrare gli elettori: agricoltori, operai, artigiani. E lo stesso va detto di Corbyn, un attivista infaticabile quando si tratta di fare campagna elettorale sul terreno. Solo che ha sbagliato a puntare, o ha sottovalutato la voglia di Brexit della gente, la frustrazione accumulata dopo anni inconcludenti. Inoltre, la radicalizzazione del partito laburista sotto la sua leadership non ha trovato favore tra gli stessi iscritti al partito, se si esclude il nocciolo duro della base “corbynista”.
Non soltanto Johnson resta al timone, ma rafforza il suo potere e aumenta il suo margine di manovra sulla Brexit, proprio il contrario di quanto era accaduto all’ex premier Theresa May, che dalle precedenti elezioni era uscita indebolita. Ora l’esecutivo si concentrerà sull’implementazione dell’accordo negoziato con Bruxelles per l’uscita dall’Unione Europea entro il 31 gennaio. Poi comincerà la fase due, che è quella più complicata perché Londra dovrà negoziare gli accordi commerciali.
All’annuncio degli exit poll che davano i conservatori verso la vittoria, la sterlina è schizzata in alto contro dollaro ed euro. Lo scenario di un hung Parliament, un Parlamento senza una chiara maggioranza, sarebbe stato il peggiore dal punto di vista dell’incertezza che avrebbe continuato a pesare sull’economia.