La grande incertezza nella battaglia elettorale tra Kamala Harris e Donald Trump non si sta ancora stemperando del tutto con la chiusura di quasi tutti i seggi nei vari Stati americani. Ora dopo ora arrivano i risultati parziali che permettono gli exit polls che però, nel risultato finale, si differenziano di poche migliaia di voti. Quindi il colpo di scena è sempre dietro l’angolo.
Alle 2:30 ora italiana i grandi network e un autorevole giornale come il New York Times davano in vantaggio Trump attribuendogli la possibile vittoria. Ma tutti gli analisti convenivano che l’ultima parola non si poteva dire.
L’analisi del voto, contea dopo contea, delinea comunque un’America, che rappresenta la più grande democrazia del mondo, spaccata in due, divisa e radicalizzata nelle sue posizioni differenti come mai forse in passato nel corso di un confronto elettorale.
E soprattutto delinea chiaramente un Paese profondamente diverso al suo interno: da un lato i voti delle città, dall’altro l’America profonda dei sobborghi urbani, quella che vive fuori delle città, che si è impoverita in questi ultimi anni per la crisi industriale e l’innovazione tecnologica, e quella più “lontana”, rurale.
C’è indubbiamente una grande partecipazione popolare a queste elezioni, che danno quasi l’idea di una riscoperta della politica, ma c’è anche chi fa giustamente notare che, dopo gli sconvolgimenti geopolitici e la crisi della democrazia, dopo una globalizzazione mal controllata, dopo una rivoluzione tecnologica ancora tutta da scoprire nella sua ampiezza e complessità, le elezioni americane sembrano che si siano trasformate in un confronto quasi ultimativo tra nuove scelte complessive: politiche, sociali, di ideali di civiltà.
Non a caso queste elezioni sono tanto accese, caratterizzate da toni violenti, con Washington vigilata in ogni angolo dalle forze dell’ordine in ricordo dell’assalto a Capitol Hill quando Trump fu sconfitto, nel 2020, dai democratici di Joe Biden; e nella notte si è sparsa pure la voce allarmante di un edificio governativo dove sarebbe stata collocata una bomba.
Ma ritornando ai risultati che si prevedono si nota che gli Stati tradizionalmente repubblicani sono rimasti tali – per ora –, così come gli Stati democratici, ma con una differenza che potrebbe rivelarsi decisiva: Kamala Harris sembra prevalere, come tradizione per i democratici, in Virginia, ma mentre Biden aveva vinto di dieci punti lei vincerebbe solo di cinque punti. In altre parole, i democratici mantengono i loro Stati, per il momento, ma per pochi voti rispetto alle performances tradizionali. Il che è un novità per lo spostamento evidente che si è verificato all’interno dei due grandi partiti americani. Tuttavia anche se tutti danno in vantaggio Trump (la Cnn alle 5 del mattino, ora italiana, attribuiva sui voti scrutinati 207 delegati a Trump contro i 91 a Kamala Harris e il New York Times dava Trump favorito oltre l’80%).
In sostanza, comunque, anche se l’incertezza è sempre possibile, la cosiddetta e attesa “valanga democratica” non si è affatto verificata e ora si comincia a dire apertamente anche sui network e sui giornali che Donald Trump è favorito. E si rivedono anche molte posizioni sul suo conto.
Alla fine tutto si deciderà sulla differenza di consensi nei cosiddetti Swing States. Si parla soprattutto della Pennsylvania, dell’Ohio, del Michigan, del Wisconsin. È una partita sul filo di lana, a quest’ora del mattino, con Trump che è favorito, ma per cantare vittoria l’America “rossa” deve ancora aspettare.
Quello che spaventa – ripetiamo – è la portata dello scontro, che sembra rimettere in gioco i princìpi della democrazia americana e forse può avere poi un’influenza in tutto il mondo democratico.
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