Caro direttore,
sono ormai le 5.50 della mattina del 6 novembre 2024. È una notte senza sonno, fatta di chiacchiere, vino rosso, aggiornamenti di X, dirette televisive. Se è ancora presto per dare un giudizio definitivo, il sentimento è il seguente: Donald Trump tornerà a fare il presidente degli Stati Uniti.
È una notte di numeri in aggiornamento, in cui negli Stati in bilico i due candidati continuano a fare avanti e indietro, con uno che tende a essere sempre un poco più avanti ed una che tende ad essere sempre un po’ più indietro.
È la notte dei grandi numeri e del voto popolare, che, pur contando poco – l’elezione è decisa dai collegi elettorali –, sicuramente non daranno una grande vittoria alla candidata dem, e forse saranno allineati tra i due candidati, ma indubbiamente stanno facendo emergere voti per Trump che non si pensava esistessero.
È la notte della Georgia, dove sembra che gli uomini afroamericani stiano tradendo quello che storicamente è stato il loro partito per regalare a Trump la vittoria in uno Stato importantissimo. È la notte della Pennsylvania, dove i minatori e gli operai, delusi dal sindacato, incattiviti verso i laureati e i privilegiati delle grandi città, tornano a guardare a chi hanno votato nel 2016. È la notte dei figli degli esuli cubani, che ormai rendono la Florida uno Stato saldamente repubblicano e respingono anche i referendum per la legalizzazione della cannabis e l’estensione del diritto all’aborto. È la notte degli arabi americani, che in Michigan potrebbero essere stati decisivi nell’appoggio a Trump, o quanto meno nel mancato appoggio alla Harris.
È la notte delle roccaforti, in cui le campagne elettorali guardano l’una alle zone rurali e l’altra alle città, cercando di capire quanti elettori hanno votato e dove, scervellandosi sulla crescita di Trump nelle campagne e sulla mancata crescita dei democratici nei sobborghi delle grandi città.
È la notte dell’economia e dell’immigrazione. I due temi che sono alla fine decisivi per queste elezioni, più decisivi dell’aborto.
È la notte del Senato, che ormai quasi certamente avrà una maggioranza repubblicana.
È la notte della Camera, con una maggioranza ancora in bilico, ma che potrebbe regalare ai repubblicani una prevalenza sia negli organi legislativi che in quello esecutivo, rendendo il forse neopresidente Trump in grado di incidere in maniera realmente significativa sulla politica americana dei prossimi anni.
È la notte della paura per i sostenitori di Kamala Harris, spaventati dai toni del tycoon, realmente convinti che la democrazia sia a rischio. È una notte di speranze per tanti forgotten men, che vedono in Trump l’unico politico che li comprende. È una notte sui social per Elon Musk, grande sponsor di Donald Trump che sta seguendo con l’ex e forse futuro presidente i risultati. È la notte della disperazione per tanti attivisti, che considerano il candidato repubblicano alla stregua di un dittatore fascista. È una notte di gioia per la metà (più uno, sembra) del popolo degli Stati Uniti, che ha votato Trump.
È la notte dei giornalisti, che già pregustano settimane di editoriali sulle ragioni di una sconfitta e sul pericolo per la democrazia.
È una notte per noi, che, alle 6.00 del mattino, continuiamo a seguire quanto sta succedendo, guardando numeri sempre più favorevoli al candidato repubblicano, beviamo il primo caffè della giornata e, in fondo, iniziamo a sorridere.
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