Sembrerebbe un novello Zaia, Alberto Cirio, governatore del Piemonte appena rieletto, se il suo carattere non fosse diametralmente opposto a quello del collega veneto. Le uniche similitudini in realtà si trovano nel fatto che Cirio ha vinto senza affanni le regionali con oltre il 56%, incrementando i voti rispetto al 2019, e portando la sua lista civica a seconda forza del centrodestra regionale col 12%, dietro soltanto a Fratelli d’Italia. Ma al di là del suo nuovo potere “personale”, suggellato anche dalla nomina a vicepresidente di Forza Italia nel febbraio 2024, non c’è nulla in Cirio che lo possa assimilare a Zaia, presidente leghista penalizzato dai suoi stessi errori e ormai senza più spazio politico. Cirio, più che a imporsi, è bravissimo a non creare frizioni, a smussarle, oppure, come dicono i suoi detrattori, a far finta che non esistano.
Cirio è moderato, prima che in politica, nell’atteggiamento, da buon discendente della tradizione della provincia “granda”, quel cuneese che non ha mai veramente abbandonato le radici democristiane. Così al governatore uscente è riuscita la riconferma, senza alcun rischio, in una Regione dove l’ultimo a riuscirci era stato Enzo Ghigo nel lontano 2000. Ha fatto capire di voler puntare tutto sulla sanità pubblica e sull’accorciamento delle liste d’attesa, tema caro sia alla sinistra che ai 5 Stelle, togliendogli argomenti per contrastarlo. Poi ha amministrato il vantaggio, guardando i suoi avversari schiantarsi nel tentativo di formare un campo largo Pd-M5s. Intento presto naufragato anche per via delle ruggini torinesi, quelle che Chiara Appendino ha maturato in 5 anni alla guida del Comune di Torino (2016-2021), quando il Pd ha cercato ogni modo per disarcionarla. Così, ai vari tavoli susseguitisi a gennaio di quest’anno per cercare di trovare una quadra coi democratici e costruire il fronte anti-Cirio, la vicepresidente di M5s ha servito fredda la sua vendetta facendo franare ogni chance di accordo. Finché i dem, sfibrati e divisi tra schleiniani e bonacciniani, hanno deciso di affidarsi a una vecchia gloria della politica locale: Gianna Pentenero, già assessora con Mercedes Bresso, governatrice subalpina dal 2005 al 2010.
Figura certamente di esperienza ma senza eccessivo mordente e che, anche per via del poco tempo a disposizione, non ha capitalizzato in Piemonte il successo del Pd alle europee, che comunque l’ha aiutata facendola arrivare al 33,5%: due punti in meno delle liste che la sostenevano (assestate al 35%) e oltre 20 punti sotto Cirio.
I 5 Stelle, che andando da soli speravano di raccogliere qualche punto in più, hanno invece dovuto accontentarsi del 7,6%, lontanissimi dal 13,6% raccolto cinque anni fa. Avevano schierato la giovane Sarah Disabato, consigliera uscente ancora acerba e sotto tutela da parte di Appendino, senza la quale qui a Torino in casa pentastellata non si muove una foglia.
L’ex sindaca è arrivata anche oggi a commentare la sconfitta insieme a Disabato, subito relegata in secondo piano mentre Appendino rispondeva alle telecamere della Tv nazionale, a cui ha spiegato che il magro risultato “è in linea con le ultime regionali, come la Basilicata e la Sardegna” e che in Consiglio regionale “entra una pattuglia” che “farà battaglie nell’interesse dei piemontesi”. La “pattuglia” di cui parla Appendino in realtà sarà composta solo da tre membri. Un po’ poco per un partito che di consiglieri, soltanto nel 2019, ne aveva eletti cinque. Troppo facile per Cirio.
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