“L’onda rossa”, la grande rivincita repubblicana, che veniva data per molto probabile fino a ieri non c’è stata. I repubblicani dovrebbero riuscire a riconquistare la Camera mentre il Senato rimane in bilico, ma le attese del partito di De Santis e Trump erano per una vittoria schiacciante; il gradimento di Biden è ai minimi e l’inflazione, soprattutto quella dei prezzi della benzina, è particolarmente sentita dall’americano medio.
Sul piano politico i risultati delle elezioni di midterm di ieri potrebbero aprire una polemica interna al partito repubblicano in qualche modo diviso tra Trump e il suo movimento, estraneo all’establishment repubblicano storico, e l’alternativa che probabilmente si radunerà dietro alla leadership del Governatore della Florida De Santis. I due politici si candidano a essere gli sfidanti nelle primarie che inizieranno tra poco più di un anno nei primi mesi del 2024. Ci si chiede se i candidati di Trump, dopo le polemiche seguite alle elezioni del 2020, siano votabili dai moderati o se danneggino il partito nonostante quello che si è visto nella vittoriosa campagna elettorale del 2016 e, in un certo senso anche in quella successiva, quando il tycoon di New York riusciva a “galvanizzare” una fetta di società normalmente ai margini del dibattito.
Dal punto di vista economico e finanziario si pongono, tra le tante, tre questioni. L’appuntamento elettorale di ieri ha avuto sicuramente effetti su alcune scelte economiche degli ultimi mesi. Una delle più visibili è stata la scelta di svuotare le riserve strategiche di petrolio per evitare che gli americani arrivassero alle urne incattiviti dal rialzo dei prezzi della benzina; l’America è un Paese in cui, a parte poche eccezioni, ci si sposta in macchina, come regola, per andare al lavoro anche nelle grandi o grandissime città. Da più parti ci si è chiesto se i licenziamenti in alcuni settori, tra tutti quelli nella tecnologia, siano stati rimandati fino a ieri. Per esempio, ieri circolavano rumour di una massiccia ondata di esuberi in Facebook e in molti hanno notato la coincidenza con la fine della tornata elettorale. Si può speculare anche su alcuni rinnovi contrattuali che potrebbero portare a aumenti di stipendio in doppia cifra e trasferirsi direttamente sui numeri dell’inflazione. Proprio in questi giorni si potrebbe chiudere il rinnovo dei contratti per quasi 5.000 ferrovieri con aumenti del 24% dei salari da oggi al 2024. Finita la tornata l’effetto pre elettorale si esaurisce ed emergono le condizioni effettive dell’economia.
La seconda questione riguarda l’azione della banca centrale americana. In un fase di alta inflazione e possibile rallentamento economico si apre un problema politico perché la coperta è corta e bisogna scegliere le priorità. Finora il problema non si è posto perché l’economia americana è solida, il mercato del lavoro più che sano e l’inflazione, per quanto alta, è una novità recente rispetto a tre decenni di incrementi dei prezzi compressi. Qualche appunto sul ritmo del rialzo dei tassi da alcune frange progressiste del partito democratico è già arrivato. Non è chiaro quale possa essere l’approccio di Biden e in generale del suo partito dopo i risultati di ieri perché la corsa per l’elezione presidenziale del 2024 è aperta e arrivarci con l’economia o la borsa in crisi non è il migliore dei biglietti da visita.
L’ultima questione riguarda la politica estera. Democratici e repubblicani condividono l’ostilità nei confronti della Cina, ma per quanto riguarda la Russia si registrano sensibilità diverse. Il supporto all’Ucraina nelle prossime settimane sarà un osservato speciale.
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