Sono due i racconti che si intrecciano durante la terza puntata de Le ragazze, il programma in onda ogni venerdì dalle 21.20 su Rai3 ricco di interviste e testimonianze delle donne che – in un modo o nell’altro – hanno vissuto da protagoniste nello scorso secolo. La più famosa tra queste, forse, è Rita dalla Chiesa, conduttrice televisiva figlia di Carlo Alberto dalla Chiesa, il generale assassinato dalla mafia a Palermo nel 1982. L’altra è invece Niella Penso, esule istriana dal passato ancor più complicato, dal momento che – all’età di 4 anni – lasciò Fiume per trasferirsi in un campo profughi della provincia di Ascoli Piceno. Là ha trascorso buona parte della sua vita, quanto è bastato per segnarla e portarla a coltivare per tutta la vita il desiderio di una casa propria, metafora di una più profonda ricerca dettata dal senso di appartenenza.
Rita dalla Chiesa ricorda suo padre il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa
Un’appartenenza che Rita, al contrario, ha identificato quasi subito. “Una vita vissuta in caserma, io e i miei fratelli”, racconta in un’intervista del 24 settembre a Ideawebtv.it. Sono infatti nata a Casoria, provincia di Napoli, perché è in quella caserma che papà prestava servizio. Ancora oggi, quando entro in una caserma mi sento a casa. Solo qualche giorno fa, per esempio, a Roma, sono passata al Comando di piazza Venezia mentre molto spesso faccio visita agli amici della stazione di Ponte Milvio. E recentemente sono stata al matrimonio del capitano Averna, nipote del giudice Chinnici”. Quando le rivolgono la domanda su “cosa resti” dell’attentato in cui suo padre perse la vita, Rita dalla Chiesa risponde che – più che per quello – il generale andrebbe ricordato per le battaglie vinte in precedenza, quando prestava servizio in città come Torino, Genova e Milano e là metteva in campo le sue forze a contrasto del terrorismo. “Questa è la cosa più importante”, ricorda. “A Palermo invece papà era appena tornato (ci era stato da giovane), quando fu ucciso. Anche se ovviamente il suo nome viene associato alla lotta contro la mafia. Quell’evento però ha oscurato il suo grande lavoro svolto negli anni precedenti”.
Rita dalla Chiesa: il Carlo Alberto ‘papà’ e ‘carabiniere’
A detta di Rita dalla Chiesa, i riscontri positivi circa l’operato del padre sono arrivati più dalla gente, che dalle istituzioni. O meglio: sono quelle delle persone comuni, le testimonianze che per lei contano di più. Ottimo anche il feedback che sta ricevendo con la vendita del suo nuovo libro, titolo Il mio valzer con papà. “Ne sono felice perché i proventi delle vendite sono destinati agli orfani dei carabinieri”, spiega. Volutamente, all’interno del testo, non vengono citate le vicende siciliane, e questo perché – al di là dell’epilogo che tutti conosciamo – Rita sente il suo papà ancora vicino, ancora vivo. Lo chiama proprio così, semplicemente ‘papà’: “I miei ricordi ovviamente sono più legati alla figura del papà che a quella del generale, anche se si sovrappongono. Per la gente credo che l’immagine dei carabinieri sia rimasta la stessa che in qualche modo papà interpretava, quella di un’istituzione in cui credere, di cui fidarsi. Nonostante alcuni casi isolati e molto sgradevoli, resta il rispetto per una divisa speciale”.