S’intitola semplicemente Rita Levi-Montalcini, il film tv dedicato alla vita della neurologa e accademica Premio Nobel per la medicina nel 1986. All’inizio del film, Elena Sofia Ricci interpreta una dottoressa disillusa e ‘disilludente’, che dopo aver vinto il Nobel si ritrova alle prese con una notorietà inaspettata. La professoressa riceve fiori da parte degli ammiratori e lettere – una montagna – da parte di chi spera di poter guarire grazie al suo lavoro di ricerca. “I giornali hanno riportato cose confuse”, lamenta la donna, che per questo si trova costretta a smontare i castelli di speranze che alcuni si erano fatti. In realtà, come la sua carriera ha ampiamente dimostrato, la scienza non è sempre in grado di fornire soluzioni rapide e facili. Si tratta appunto di coltivare un impegno costante e graduale: “La ricerca è una splendida carriera”, diceva al riguardo nel 2005, “io ne ho goduto e ne godo malgrado la mia età avanzata e il mio quasi secolo di vita ma è un percorso dove occorrono competenza, passione assoluta e impegno incondizionato: il solo amore verso la disciplina scientifica non basta”. (agg. di Rossella Pastore)



Rita Levi-Montalcini sul ruolo delle donne

Rita Levi Montalcini ha combattuto nel corso della sua vita per la parità tra uomo e donna. Il Premio Nobel non ha mai accettato il destino di moglie e mamma che le sarebbe spettato. “Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza”, era solita dire la Montalcini che ha sempre cercato di lavorare per la parità tra uomo e donne. “L’umanità è fatta di uomini e donne e deve essere rappresentata da entrambi i sessi”, diceva ancora la Montalcini come si legge su Wikipedia. Una donna che non si è mai fermata e che ha continuato a lavorare per la ricerca e, contemporaneamente, per i diritti della donne (aggiornamento di Stella Dibenedetto).



Rita Levi Montalcini e il lavoro da medico sui campi da guerra

Rita Levi Montalcini si laureò in Medicina e chirurgia nel 1936 con 110 e lode. Un titolo di studio che, durante la Seconda Guerra Mondiale la portò ad operare sul campo aiutando i caduti di guerra. Nel 1944 lavorò come medico presso il Quartier Generale anglo-americano e, in quell’occasione, si ritrovò a vestire i panni anche di infermiera per cercare di aiutare chi lottava con la morte. Un’esperienza fortissima per la Montalcini in seguito alla quale capì di non poter fare il medico non riuscendo a mantenere un distacco dai pazienti. “Era in corso un’epidemia di tifo, i malati morivano a decine. Facevo di tutto, il medico, l’infermiera, la portantina. Giorno e notte. È stato molto duro e ho avuto fortuna a non ammalarmi”, raccontava il Premio Nobel (aggiornamento di Stella Dibenedetto).



Rita Levi Montalcini e l’educazione ricevuta dai genitori

Rita Levi Montalcini è cresciuta in una famiglia in cui i genitori erano molto istruiti. Ai genitori ha sempre riconosciuto una grande importanza in quella che è stata la sua educazione e la sua determinazione del raggiungere determinati obiettivi. “La mancanza di complessi, una notevole tenacia nel perseguire la strada che ritenevo giusta e la noncuranza per le difficoltà che avrei incontrato nella realizzazione dei miei progetti, lati del carattere che ritengo di aver ereditato da mio padre, mi hanno enormemente aiutato a far fronte agli anni difficili della vita”, era solita raccontare la Montalcini che, tuttavia, dovette combattere per allontanarsi dallo stereotipo dell’epoca che vedeva la donna come moglie e mamma. “A mio padre come a mia madre debbo la disposizione a considerare con simpatia il prossimo, la mancanza di animosità e una naturale tendenza a interpretare fatti e persone dal lato più favorevole. Questo atteggiamento, che si manifestò anche più spiccatamente in mio fratello Gino, mi colpì sin dall’infanzia e determinò, almeno in parte, l’incondizionata ammirazione che avevo nei suoi confronti”, aggiungeva come si può leggere su Wikipedia (aggiornamento di Stella Dibenedetto).

Rita Levi Montalcini e il rapporto con i giovani

Rita Levi Montalcini, il premio Nobel per la medicina rivive nell’omonimo film tv con protagonista Elena Sofia Ricci in arrivo giovedì 26 novembre 2020 in prima serata su Rai1. Il film per la tv, diretto da Alberto Negrin, racconta la vita della neurologa, accademica e senatrice a vita italiana, che nel 1986 è stata insignita del Premio Nobel per la medicina. Una vita dedita alla scienza quella di Rita Levi che è scomparsa all’età di 103 anni nella sua casa romana. La mente è sempre stato il suo punto di forza come del resto ha raccontato in un’intervista rilasciata il 16 aprile del 2006 a La Repubblica: “credo che il mio cervello, sostanzialmente, sia lo stesso di quand’ero ventenne. Il mio modo di esercitare il pensiero non è cambiato negli anni. E non dipende certo da una mia particolarità, ma da quell’organo magnifico che è il cervello. Se lo coltivi funziona. Se lo lasci andare e lo metti in pensione si indebolisce. La sua plasticità è formidabile. Per questo bisogna continuare a pensare”.

Una lunga chiacchierata che vide il Premio Nobel per la Medicina parlare anche dei giovani con parole di grande intelligenza e riflessione. “Oggi i giovani devono affrontare realtà drammatiche come la povertà, il razzismo, l’analfabetismo, la negazione dei diritti civili in molti paesi” – ha dichiarato la scienziata che ha sottolineato come lo sviluppo tecnico e scientifico abbia permesso di aprire campi infinita all’esplorazione. Non solo, la Montalcini non ha mai nascosto quanto l’avvento dell’informatica e delle rete fosse stato importante: “non bisogna aver paura dell’informatica, perché da sempre il progresso è portatore di cultura e di democrazia. Occorre sfruttare le potenzialità di Internet per metterle al servizio dei popoli più svantaggiati”.

Rita Levi Montalcini e infanzia: “Mi sentivo inferiore da ogni punto di vista, intellettuale e fisico”

Nata e cresciuta in una famiglia ebrea sefardita, Rita Levi Montalcini ha vissuto un rapporto difficile con il padre autoritario. “Mi sentivo inferiore da ogni punto di vista, intellettuale e fisico. Intellettualmente il mio idolo era Gino, il fratello più grande, mentre Paola, la mia gemella, era molto portata per l’arte” – ha confessato a La Repubblica in una vecchia intervista. Un’infanzia in cui lei si sentiva una sorta di brutto anatroccolo sempre sotto il giudizio e la lente di ingrandimento di un padre autoritario che le incuteva timore. Parlando proprio del padre ha raccontato: “ogni suo desiderio doveva essere esaudito. È stato questo a farmi decidere di non sposarmi mai. Avevo tre anni quando ho pensato: da grande non farò la vita che sta facendo mia madre. Mai avuto più alcuna esitazione o rimpianto in tal senso. La mia vita è stata ricca di ottime relazioni umane, lavoro e interessi.

Non ho mai sperimentato cosa volesse dire la solitudine”. La sua vita, come tutte quelle degli ebrei, viene sconvolta dalle leggi razziali anche se ricordando quel terribile periodo ha detto: “sono convinta che non esistano le razze, ma i razzisti”. Sta di fatto che, una volta finita la guerra, Rita decide di trasferirsi in America. Un cambiamento radicale per la sua vita di scienziata che ha ricordato così: “ci arrivai con la fortuna e l’istinto. Conoscevo in tutti i dettagli il sistema nervoso dell’embrione e ho capito che quello che stavo osservando al microscopio non rientrava nelle norme. Una vera rivoluzione: andava, infatti, contro l’ipotesi che il sistema nervoso fosse statico e rigidamente programmato dai geni. Per questo decisi di non mollare”.

Rita Levi-Montalcini, le sue frasi cult

La fama di Rita Levi Montalcini è internazionale. La scienziata e Premio Nobel per la medicina nel 1986 si è fatta conoscere ed apprezzare oltre che per il suo talento e genio nella ricerca, anche per alcune sue frasi diventate cult. Tra queste una l’ha dedicata ai giovani “dico ai giovani: non pensate a voi stessi, pensate agli altri. …” e una alle donne “le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza”. Proprio sulle donne la Montalcini ha sempre investito personalmente anche con la sua Fondazione: “bisogna dare alle donne la possibilità di usare il cervello, insegnare loro a utilizzare gli strumenti dell’informatica. Adoperarsi in questa direzione è un obbligo. La mia fondazione, di recente, ha attribuito 800 borse di studio alle donne africane nelle varie fasce di età: prescolare, scolare, universitaria e post-universitaria. Per la componente femminile del genere umano è giunto il tempo di assumere un ruolo determinante nella gestione del pianeta. La rotta imboccata dal genere umano sembra averci portato in un vicolo cieco di autodistruzione. Le donne possono dare un forte contributo”. Una speranza importante quella della Montalcini che è riuscita a cambiare la sua vita e per questo si è sempre prorogata anche per le altre donne: “alla donna è mancato tutto. Io ne so qualcosa. Mio padre aveva deciso che mio fratello doveva andare all’Università, mentre le sue tre figlie erano destinate alle scuole femminili per affrontare il ruolo che spettava loro di future mogli e madri. Che ingiustizia. Ne ho sofferto moltissimo”.