La prima traccia della Tipologia C (il tema sull’attualità) della Prima prova della Maturità 2024 è stata dedicata ad un testo tratto dall’opera autobiografica di Rita Levi MontalciniElogio dell’imperfezione“: di seguito trovate la traccia svolta da Sonia Marconi – classe 2000, laureata in Matematica e studentessa di Data Science all’Università di Trento – per conto de IlSussidiario.net. 



PRODUZIONE – TRACCIA SVOLTA TEMA TIPOLOGIA C1 MATURITÀ 2024: RITA LEVI MONTALCINI

Nell’Elogio dell’Imperfezione di Rita Levi-Montalcini, il premio Nobel per la medicina presenta il suo approccio alla scienza come nutrito di imperfezione. In un passaggio si legge: “Il fatto che l’attività svolta in modo così imperfetto sia stata e sia tuttora per me fonte inesauribile di gioia, mi fa ritenere che l’imperfezione nell’eseguire il compito che ci siamo prefissi o ci è stato assegnato, sia più consona alla natura umana così imperfetta che non alla perfezione”. Da questa sola frase emergono due elementi: da un lato viene riconosciuto come un compito assegnatoci, da noi stessi o da altri, possa essere intrinsecamente imperfetto; dall’altro vi è la gioia, la gioia che si può provare nel riconoscersi imperfetti. Il che significa ammettere, comprendere e condividere la propria imperfezione. È un aspetto che richiede accettazione, ma l’accettazione è nulla se non accompagnata dalla propositività. È così, dunque, che nella società contemporanea riconoscersi imperfetti è una semplice rivoluzione: concedersi la possibilità di essere fallaci senza colpa propria o altrui.



Rita Levi-Montalcini è stata una scienziata, e nelle sue parole è estremamente facile riconoscere questa natura: emerge la consapevolezza che l’acume e l’estrema intelligenza scientifica non possano nulla di fronte alla capacità di chiudere un occhio, di accettare che quanto faremo avrà degli elementi di imperfezione; il che, è diverso dalla resa. È necessaria dinamicità, anche quando una virgola non è perfetta, anche quando una formula non ci convince poi tanto. È il bisogno di dire “io qui non arrivo”. L’imperfezione non può essere considerata come un fattore esterno, come un qualcosa da debellare. È il riappropriarsi di ciò che ci appartiene, di ciò che siamo in quanto essere umani.
Capita spesso di imbattersi in termini quali “performare”, “eccellere”, “superare”. Tutti e tutte ne siamo afflitti. Nella nostra quotidianità prende piede l’intelligenza artificiale, dalla quale pretendiamo la stessa perfezione che pretendiamo da noi stessi. È il mondo del machine learning, della ricerca di una accuratezza nel predire il futuro, nell’aspettarci che quanto creiamo sia perfetto, colmando la nostra apparente lacuna. Sorge naturale la domanda: siamo afflitti da tutto questo perché soggetti solo alla pressione esterna o poiché questa forzatura si è insinuata fino a trovare terreno fertile internamente?
Una delle risposte è da ricercarsi in un altro elemento citato dal premio nobel Levi-Montalcini: quello della soddisfazione. Quando la soddisfazione risulta segugio di un motore mosso solo dalla perfezione, non può che affaticarsi e svuotarsi, fino a non appartenerci. La soddisfazione è un qualcosa di estremamente intimo, da ricercarsi all’interno. Fin quando sarà filtrata dalla validazione altrui in termini di consenso o certificazione, non potrà essere davvero nutrita e avrà bisogno di un continuo rifornimento esterno. È il mondo dei voti e delle graduatorie che tutti conosciamo, forse banale da citare, ma esempio lampante di come ci sia richiesto di collocarci in una scala della perfezione, da 1 a 10, predisposta da altri. Ciò che forse manca in questo ragionamento e che Rita Levi-Montalcini ci regala, è la capacità di riconoscere che questa scala ha in sé delle imperfezioni, poiché predisposta da umani, da criteri e sistemi che hanno delle sensibilità differenti. Senza però dimenticarci che anche il nostro approccio, a tale sistema, sarà imperfetto ugualmente.



E se queste fossero tutte considerazioni già assodate, allora non ci rimane che l’elemento della gioia. Gioia nel riconoscerci fallaci. Probabilmente, non siamo allenati su questo aspetto ed è un peccato che serva allenamento.

Riconoscere che il percorso è lì per noi e non noi per il percorso, qualsiasi esso sia, ci ricorda che nel nostro sistema interno, fatto di limiti, ci sarà spazio per prendere dall’esterno solo ciò che può entrare. Ma i limiti non sempre hanno un’accezione negativa, i limiti aiutano, accompagnano e, soprattutto, permettono di conoscere ciò che c’è all’interno. O, perlomeno, aiutano nell’indicarci dove guardare, senza l’obiettivo di comprendere appieno: anche questa è imperfezione.

Ed è così che ogni azione si irrobustisce senza irrigidirsi. Una volta su un bigliettino ho letto una frase che diceva: “le nostre azioni non saranno più la ricerca di qualcosa che manca, ma l’espressione di qualcosa che c’è”. È la nostra rivoluzione semplice, vedere l’imperfezione come un elemento imprescindibile e che appartiene alla nostra espressione in quanto esseri umani.
Il considerarsi imperfetti e fallaci ridimensiona la prepotenza verso sé e verso gli altri, facilita il perdono, concede una lente non distorta nel nostro specchio.

E se la critica a tale ragionamento si muove sui i binari della necessità di far convivere in un unico insieme persone con bisogni, ambizioni e ricerca di spazi differenti, convergendo quindi in un unico sistema che richiede selezione; allora è qui che l’elemento della gioia inizia a sgomitare e a farsi spazio. Immaginate una risata forte e dirompente dopo aver scoperto che lì, proprio lì, noi non arriviamo. Non vuol dire che arriveremo da un’altra parte e forse anche questo andrà a creare disillusione, vuol dire che arriveremo un passo prima, dove noi siamo e dove potremo ritrovarci. E a questo si aggiunge la possibilità (che è meglio di capacità) di chiudere un occhio, e fare un salto. Per raggiungere quello che un’intelligenza abile ma priva di riconoscenza verso se stessa, non può ottenere: percorrere una strada con discontinuità; scoprendo che la propria imperfezione arriva dove la linearità rimane ceca.
È una modalità soggetta a troppe pressioni esterne? Può essere, ma la ricerca della gioia è anche questo, è concedersi la libertà di essere fallaci e in questa società che, ricordiamoci, non è uniforme su tutto il pianeta, ci vuole un po’ di coraggio per ammettersi imperfetti; ma se questo regala gioia, allora forse, potrebbe valerne la pena.

E poi, se questo testo non fosse perfetto, andrà bene così.