Vaccini: a che punto siamo? A che ritmi procede la vaccinazione in Italia? Saremo in grado di rispettare i target fissati dall’Ecdc (European Center for Disease Prevention and Control)? Lo abbiamo chiesto ad Americo Cicchetti, direttore Altems, l’Alta scuola di economia e management dei Sistemi sanitari dell’Università Cattolica che sta conducendo un monitoraggio del progresso della vaccinazione nel nostro Paese.
Professore, come procede la vaccinazione?
Stiamo cercando di seguirne l’andamento, soprattutto osservando il timing rispetto a quelli che sono i target che ha posto l’European Center for Disease Prevention and Control (Ecdc). Si tratta di un target comune a tutti i Paesi europei, rispetto alla programmazione fatta a livello nazionale ci sembra un riferimento valido su una scala più ampia. Abbiamo cominciato dalla scorsa settimana a vedere che progresso abbiamo rispetto ai due target: uno è fissato al 31 marzo, l’altro al 30 giugno. Rispetto a quello di marzo abbiamo osservato un ritardo rispetto alla tabella di marcia.
Un ritardo di che entità?
Siamo in questo momento al 24,54% rispetto al target fissato per il 31 marzo. Entro il 31 marzo dovremmo aver vaccinato (con le due dosi) 5 milioni e 120 mila persone. Al momento ne abbiamo vaccinate 1 milione e 256mila. Rispetto al target siamo abbastanza sotto, se dovessimo proseguire con questi ritmi riusciremmo per il 31 marzo a vaccinare meno di 4 milioni di persone, quindi avremmo un milione in meno, ovvero il 20% in meno rispetto al target complessivo prefissato. Dobbiamo accelerare, ogni ritardo purtroppo costa vite umane, soprattutto in questa fase.
Qual è invece l’obiettivo fissato per il 30 giugno?
Un obiettivo molto più importante. Entro il 30 giugno dovremmo vaccinare 40 milioni di persone, si è posto un obiettivo così ambizioso perché si ipotizza che nel frattempo, arrivando vaccini più facili da amministrare, come per esempio Johnson & Johnson – un vaccino in una sola dose – ci dovrebbe essere un’accelerazione dovuta alla diversa tecnologia. Questo spiega perché l’Ue ha fissato obiettivi molto più sfidanti nei secondi tre mesi dell’anno, un target simile permetterebbe d’immaginare di arrivare all’immunità di gregge entro settembre.
Col ritmo attuale non ci arriveremmo?
Col ritmo attuale arriveremmo a fine di marzo all’80% del primo target, non al 100%. E quindi, con questo stesso ritmo, a settembre non arriveremmo mai al target prefissato.
L’80% non è una cattiva percentuale.
No, non sarebbe male: significherebbe che a marzo invece di 5 milioni di persone ne avremmo vaccinate 4. Guardando la curva, l’accelerazione che dovrebbe esserci nei prossimi mesi non è così impossibile da mantenere. In realtà io credo che, con un po’ più di organizzazione e con i vaccini disponibili, anche l’obiettivo del 31 marzo potrebbe essere raggiungibile. È anche il mio auspicio più che altro, oltre che un modo per dare una motivazione in più a chi sta lavorando: ci devono credere, perché ce la possiamo fare. È chiaro che le regioni devono dedicare grandi sforzi a questi obiettivi.
In che modo?
La vaccinazione non è fatta solo di vaccini, ci vogliono le persone. Un’altra cosa che stiamo facendo è cercare di mappare il personale che viene dedicato all’attività vaccinale, effettivamente abbiamo visto che non sono state tante le regioni a fare dei bandi per medici e personale sanitario da destinare alle vaccinazioni. Lo hanno fatto Lazio, Lombardia, Piemonte, le Province autonome di Trento e Bolzano, la Liguria, l’Umbria, la Campania e la Puglia: circa la metà delle regioni. Mancano all’appello regioni come Sardegna, Toscana, Marche, Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria.
Potrebbero farlo prossimamente, basandosi sull’esperienza?
Sì, io spero che nel momento in cui si renderanno conto – e credo se ne stiano già rendendo conto – di essere in ritardo, faranno partire i bandi: quella che ho descritto è una fotografia all’8 febbraio, può darsi che qualcosa cambi. Ad ogni modo, questo non vuol dire che le regioni che ho menzionato non stiano facendo i vaccini.
Il messaggio comunque è chiaro: i vaccini non sono solo le dosi (e le aziende farmaceutiche che ce le mandano) ma anche le persone che poi devono essere messe con un ritmo serratissimo a somministrarli.
Assolutamente, e devono essere persone competenti e ben formate. Il vaccino Pfizer ad esempio è complicato, la temperatura bassissima di conservazione prevede uno scongelamento progressivo, va tolto dai frigoriferi un certo numero di ore prima per poi essere sporzionato, dopodiché bisogna aspettare ancora per poterlo inserire nelle siringhe con un processo di diluizione del contenuto delle fiale. AstraZeneca ha una tecnologia già più semplice, per questo sono ottimista. Voglio dire che ci sono tecnologie che ci aiuteranno, quando arriverà il vaccino di Johnson & Johnson sarà ancora più facile. Immagini quando ci saranno i vaccini orali in pillole, ma pare che non arriveranno prima di settembre. Serviranno comunque per la profilassi, che sarà necessaria per anni, quindi ben vengano anche se con questi tempi.
Intanto pare che l’indice Rt sia in risalita: il progresso dei vaccini trova un ostacolo nel “progresso” parallelo delle varianti?
Ancora non abbiamo idea, e lo dicono gli esperti, della capacità effettiva dei vaccini di dare la stessa esatta copertura per le diverse varianti del virus. Una cosa sembra ormai assodata: con la variante brasiliana e sudafricana ci possono essere dei problemi, su quella inglese pare che la copertura sia più o meno la stessa, questo è emerso dalle analisi fatte e dagli studi finora condotti dai colleghi virologi.
(Emanuela Giacca)
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