Improvvisamente, dopo aver mandato allo sbaraglio decine di migliaia di ragazzi, soprattutto delle province orientali dell’impero russo, i generali di Mosca scoprono di avere un cuore. I due comandanti in capo, il ministro della difesa Shoigu e il generale Surovikin, hanno dichiarato pubblicamente: “Gli ucraini oggi sono più forti: la cosa più importante è preservare la vita dei nostri soldati”. È la giustificazione più o meno ufficiale del ritiro da Kherson, ma viene da chiedersi se sia una coincidenza che avvenga pochi giorni dopo la strage di soldati russi avvenuta a Pavlivka, dove almeno 300 militari mandati a occupare la città nella regione del Donetsk, sono caduti in una trappola. Anziché ordinare la ritirata, i comandanti hanno mandato altre truppe nella mischia con il risultato detto.
Secondo Vincenzo Giallongo, colonnello dei Carabinieri, esperto di sicurezza, numerose missioni estere, in Iraq durante la missione Antica Babilonia “dobbiamo aspettare almeno qualche giorno per capire cosa realmente hanno intenzione di fare i russi. Il fatto che si stiano spostando sulla riva orientale del fiume Dnipro dopo aver fatto saltare tutti o quasi i ponti farebbe pensare che abbiamo intenzione di trincerarsi su quelle posizioni in attesa che passi l’inverno, per poi lanciare una nuova offensiva”. Infatti oltre ai circa 50mila riservisti richiamati negli ultimi mesi con l’ordine di mobilitazione, e mandati al fronte, ce ne sono almeno 150mila in tre centri di addestramento in prossimità della frontiera: uno nella zona di Kursk, uno in quella di Bryansk, uno in Bielorussia. Una massa d’urto pari all’onda d’assalto scatenata lo scorso 24 febbraio.
I russi si ritirano: per fare cosa? Trincerarsi? Preparare una nuova offensiva? O trattare?
Siamo stati lungimiranti un mese fa quando dicevamo che l’inverno avrebbe portato a una guerra di posizione. Con questa ritirata Putin ha in mente due cose.
Quali?
La prima è dare un segnale per un eventuale tavolo di pace. Lui lo vuole, ormai è chiaro e i suoi fedelissimi continuano a ripeterlo. Con questa mossa è come se avesse detto: io sono disponibile a trattare, passo dall’altra parte del fiume, ci fermiamo e se vogliamo discutere discutiamo. Se non vogliamo discutere attenzione che quando finisce l’inverno ricominciamo ad attaccare. Un periodo di stasi fa comodo anche a lui.
Troppe perdite militari?
Sono stati mobilitati quasi 200mila riservisti, mandarli in campo adesso è impossibile, ci vogliono mesi per addestrarli. Laggiù poi l’inverno è rigidissimo e la storia ci insegna che in questi mesi non si combatte. Ci si fortifica.
Il fiume Dnipro potrebbe diventare la linea del fonte?
In guerra ci si muove così: si finalizza un obiettivo, ma è sempre molto oltre quello che si vuole ottenere realmente. Per capirci: se voglio conquistare Napoli da nord, pongo come obiettivo la Calabria. Arrivato in Calabria intanto fortifico Napoli e poi eventualmente mi ritiro dalla Calabria. Se guardiamo al quadro di questi mesi, è quello che è successo in Ucraina. I russi son andati ben oltre il fiume Dnipro, ma non sono riusciti a mantenere le posizioni occupate e adesso si ritirano su quello che evidentemente era l’obbiettivo vero.
Putin potrebbe in questo modo anche placare la sua opinione pubblica, proclamando di aver riportato la frontiera sulla linea del Dnipro, che per i russi e gli ucraini ha un preciso significato storico: è sulle sue rive che si stanziarono le tribù nomadi che nel IX secolo fondarono la Rus’ di Kiev.
E ha poi un’importanza strategica fondamentale come via di trasporto del grano verso Odessa e il Mar Nero. Fortificare la sponda orientale significherebbe porre una linea di confine su cui trattare. Teniamo conto che Kiev continua a ricevere aiuti dall’Occidente. La leggera sconfitta democratica alle elezioni di Midterm non cambierà la linea politica di Biden, come sarebbe successo se ci fosse stata l’annunciata vittoria di massa dei repubblicani che avevano dichiarato di volersi disimpegnare. Non è un caso che l’annuncio di questo ritiro arrivi il giorno dopo che si è saputo il risultato del voto americano.
Quindi? Dobbiamo aspettare il nuovo anno? Gli ucraini si fermeranno?
Il vero rebus è Zelensky. È stato fortemente aiutato dall’Occidente. Per quanto la Russia abbia dimostrato di non essere una grande potenza militare, Zelensky non avrebbe potuto far fronte all’attacco se non ci fossero stati gli aiuti dell’Occidente.
C’è una forte pressione da parte di molti Paesi nel chiedere la fine delle ostilità, che stanno provocando ingenti danni economici.
C’è molta confusione sul tema. Qualcuno nega l’evidenza, dicendo che la Russia non è stata colpita come si pensava dalle sanzioni e che si sono ritorte contro l’Occidente, ma non è vero. Noi siamo paesi democratici e possiamo dire che c’è sicuramente un disagio provocato dalla guerra che si riflette su di noi, mentre i russi non diranno mai i danni che hanno subito in seguito alle sanzioni. È importante poi sottolineare che le difficoltà energetiche che stiamo sperimentando sono state ingigantite a scopo speculativo.
Dunque, come ci diceva già in passato, la palla è nel campo di Zelensky?
Sì, Bisognerebbe sapere cosa passa per la testa di Zelensky e cosa vuole fare Biden. Sono loro due i protagonisti, gli altri sono secondi attori, come l’Europa. Quanto Zelensky tirerà la corda e quanto Biden è disposto a offrire? Ma anche quanto vuole offrire Putin. Al di là delle difficoltà avute nel ultime due settimane, di fatto c’è stata una stasi, in attesa di quello che può succedere. I russi avrebbero potuto continuare a bombardare le città, ma quando Putin ha capito che ci può essere una via uscita dalla guerra ottenendo qualcosa, si è fermato.
(Paolo Vites)
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