Con una mossa del tutto insolita nel rigoroso (o, almeno, così dovrebbe essere sulla carta) sistema accademico, l’editore Wiley – che ha una storia lunga più di 217 anni – ha ritirato 11.300 studi scientifici pubblicati negli ultimi anni e che erano (nuovamente, sulla carta) stati sottoposti a peer review, ovvero la revisione fatta da un gruppo di esperti che certifica la correttezza teorica della tesi presentata. Non solo, perché mentre l’editore ritirava gli 11mila studi scientifici in peer review, si vedeva costretto anche a chiudere 19 riviste ritenute del tutto inutili e inattendibili. Una mossa, dicevamo, insolita ma non del tutto nuova, perché solo lo scorso anno in più tornate una situazione simile era capitata anche alla famosissima rivista Nature costretta a revocare l’attendibilità a più di 10mila documenti.
L’origine dei problemi per l’editore Wiley sarebbe stata – riferisce il sito ZeroHedge citando un articolo di Jo Nova scritto sul suo blog – l’acquisizione da 298 milioni di dollari della casa editrice egiziana Hidawi che gestisce circa 250 diverse riviste (tra cui anche ‘Disease Markers’, ‘BioMed Research International’ e ‘Computational Intelligence and Neuroscience’, ora tutte chiuse); mentre l’ipotesi mossa è che dietro al settore degli studi scientifici ci sia un vero e proprio business di falsi e truffe, messi in piedi solamente per approfittare dei fondi accademici.
Perché l’editore Wiley ha ritirato gli 11mila studi scientifici: “Sono stati scritti con l’IA”
Insomma, mentre sempre più editori ritirano gli studi scientifici (oltre ai casi di Wiley e Nature potremmo citare anche l’indagine fatta dallo University College londinese secondo cui l’1% di tutti gli articoli pubblicati sono probabilmente falsi) si apre anche una riflessione sull’effettiva utilità del sistema di peer review che di fatto ha permesso a tutti quei documenti di essere ritenuti – erroneamente – corretti e veritieri. Il problema – sia dietro agli studi scientifici ritirati che alla peer review errata – affonda le sue radici nell’Intelligenza artificiale, usata sia per redigere quei documenti falsi che per controllarli, il tutto senza alcuna revisione umana.
D’altronde il perché qualcuno abbia deciso di pubblicare articoli falsi è piuttosto semplice, dato che come ricorda Jo Nova il business vale in totale più di 30 miliardi di dollari; e così qualcuno ha confezionato – grazie all’IA – una serie potenzialmente infinita di studi scientifici con inesattezze e errori gravi (tra cui Nova cita il ‘cancro al seno’ che diventa ‘pericolo al seno’) dovuti ad un rimescolamento di parole e frasi di altri studi al fine di farli sembrare quantomeno attendibili.