Si sono conclusi di recente gli Stati Generali della Natalità, evento che ha permesso di far incontrare e ragionare insieme esponenti di varia estrazione politica e culturale a proposito dell’inverno demografico, fenomeno sempre più dilagante in Europa e in Italia. Dagli interventi è possibile estrarre un considerevole numero di contributi; in primo luogo i numeri non mentono e sono oggettivi, il tasso di fertilità è in Italia pari a 1,24 e i bambini nati nell’ultimo anno sono appena 300mila, meno del numero di morti. Se il trend continuerà, entro vent’anni o meno avremo perso circa 11 milioni di cittadini, con conseguenze sul sistema sanitario e assistenziale, oltre che su quello industriale e sulla produzione di ricchezza del Paese.
Il merito della manifestazione è stato quello di far parlare di un problema presente sin dagli anni ’70: non è un problema di un partito politico ma dell’intero sistema Paese. Questo significa che le politiche familiari e la famiglia stessa non sono un tema politico, ma anzi la famiglia è il tessuto stesso della società, la base su cui costruire: «la famiglia non è parte del problema, ma è parte della sua soluzione» (Francesco). Investire sulla natalità vuol dire investire sulla famiglia, permettere ai giovani di sposarsi e di fare figli. Questo vuol dire creare le condizioni affinché si possano avere delle sicurezze maggiori in termini occupazionali; vuol dire anche creare una rete di servizi in grado di integrare il lavoro femminile con la maternità. In Italia infatti si assiste ad una falsa relazione inversa tra occupazione femminile e tasso di fertilità, proprio dovuta al fatto che non ci sono servizi (o sono pochi) in aiuto alle madri lavoratrici. Un dato drammatico è che il desiderio di genitorialità in Italia è alto, più alto di quello che poi si riscontra nella realtà, questo perché mettere al mondo un figlio è una delle principali cause di povertà.
Come detto negli Stati Generali, ci sono state alcune misure che vanno nella giusta direzione, ma la strada è ancora lunga: l’assegno unico, benché insufficiente da solo, è stato un primo passo, così come la detassazione dei fringe benefit per chi ha figli nell’ultimo Decreto Lavoro e l’introduzione, per ora solo ipotizzata, del quoziente familiare. Ma intervenire sulla natalità richiede uno sguardo poliedrico, non è competenza di un solo ministero ma piuttosto un’intersezione di tante competenze: economia, lavoro, welfare, agricoltura, infrastrutture, trasporti, per citarne alcune. Inoltre è necessario una coesione con il mondo delle imprese: chi crea lavoro deve poter essere in grado di farlo sostenendo la famiglia. Detassare l’assunzione di giovani madri, per esempio, può essere uno dei tanti strumenti da applicare. Certo, le risorse non sono infinite e occorre scegliere quali misure implementare e quali no, ma dev’essere chiaro l’orizzonte: siamo (quasi?) al punto di non ritorno.
Non è solo una questione economica, tanto che globalmente la popolazione sta aumentando e lo fa proprio nei Paesi poveri o in via di sviluppo, ma anche culturale: la genitorialità dell’uomo e della donna è un dono prezioso per il Paese e mettere al mondo un figlio è una buona notizia, un atto d’amore e, anche, una ricchezza, un investimento per tutta la Nazione: «Il miracolo economico italiano è stato l’effetto della fiducia delle famiglie che avevamo e della natalità che hanno creato» (Adolfo Urso). Chi mette al mondo figli allora deve essere sostenuto, non per una discriminazione ma piuttosto perché la prosperità di una Nazione si guarda, anche, dalla sua possibilità di futuro.
La sfida lanciata dagli Stati Generali è quella di tornare a 500mila nascite, come nel 2008, entro il 2032, una sfida difficile ma non impossibile e che chiede l’apporto di tutti. Combattere l’inverno demografico va oltre la scadenza naturale di qualsiasi legislatura, per questo è un tema universale, serve creare e implementare delle politiche efficaci che daranno i propri frutti nel tempo. Questo vuol dire slegarle dall’uso politico del tema e toglierle dal ring delle prossime campagne elettorali: «Occorrono perciò politiche lungimiranti. Occorre predisporre un terreno fertile per far fiorire una nuova primavera e lasciarci alle spalle questo inverno demografico. E, visto che il terreno è comune, come comuni sono la società e il futuro, è necessario affrontare il problema insieme, senza steccati ideologici e prese di posizione preconcette» (Francesco).
Il tema è stato posto, i problemi, già evidenti, sono emersi ancora una volta. La rotta pare chiara e avrà un orizzonte di più legislature, indipendente quindi dal colore politico di questo e dei prossimi Governi. Alcune soluzioni sono state delineate e alcuni segnali sono stati dati da questo e dal precedente Esecutivo.
>Quella che si è conclusa è una chiamata chiara ai partiti a fare Politica sul terreno comune per eccellenza, i figli. Non ci sono interessi di parte, solo azioni da intraprendere.
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