Tutto ebbe inizio nella seconda metà del secolo scorso, quando un gruppo di fanatici dell’ambiente ebbe una brillante idea: riportare il lupo in Italia. A quanto pare l’organizzazione fu impeccabile e il folle progetto fu attuato e portato a termine con una segretezza che dovrebbe essere fonte d’ispirazione per ogni agenzia di spionaggio internazionale. Non potendo procedere per vie ufficiali, un esercito di volontari avrebbe partecipato a lunghe spedizioni in terre lontane con lo scopo di catturare, vivi, un elevato numero di lupi con trappole sofisticate che nessuno incredibilmente ha mai intercettato.
Una volta raggiunta una quota sufficiente di catture, i poveri lupi stranieri sarebbero stati liberati in varie zone del Paese. Qualcuno, si dice, avrebbe perfino noleggiato degli elicotteri per velocizzare i trasferimenti e passare ulteriormente inosservato. In poco tempo, fu realizzato un progetto incredibile che, inspiegabilmente, non viene ripetuto nel resto del mondo per tutte quelle specie che molti vorrebbero da tempo disperatamente proteggere. Sì, sarebbe andata proprio così. E a questo punto, qualcuno potrebbe farsi bastare l’originalità di questa favola che, di fatto, è utilissima a giustificare determinate posizioni e a proporre sbrigative soluzioni a problematiche complesse e delicate.
Coloro che invece, per una strana fame di verità, vogliono conoscere più a fondo questo straordinario predatore e la sua storia recente nel nostro Paese, possono iniziare a concentrarsi sulla vera favola di questa riconquista, una riconquista non priva di problematiche.
La memoria storica, appoggiata da studi scientifici, ci catapulta negli anni 70 del secolo scorso. Il lupo, in Italia, resiste in pochi luoghi selvaggi come l’Abruzzo e la Calabria con una popolazione totale stimata di circa 100 esemplari. Questi individui superstiti, gli ultimi della sottospecie canis lupus italicus (lupo appenninico italiano), si ritrovano relegati in angoli angusti del Paese a seguito di una persecuzione diretta (uccisioni) e indiretta (diminuzione di habitat e prede dovute all’espansione delle attività antropiche dei secoli precedenti).
I fattori del ritorno
Fu proprio in quel periodo che una serie di fattori, legati tra loro e più o meno contemporanei, cambiarono fortemente la traiettoria della storia del predatore. Tra i vari cambiamenti, due sono i fattori decisivi che hanno segnato il cambio di rotta: 1) la protezione a livello legislativo, e 2) l’espansione e aumento delle popolazioni di ungulati a seguito dell’incremento della copertura boschiva in ampie zone collinari e montane.
A livello globale, il XX secolo ha visto un percorso di istituzione di aree naturali protette, con lo scopo di salvaguardare la biodiversità attraverso la conservazione di habitat e specie. In Italia, nei primi anni 20 nascono i primi parchi nazionali (Parco Nazionale d’Abruzzo e Parco del Gran Paradiso) e nei decenni successivi aumenta la superficie nazionale sottoposta a un certo grado di protezione, raggiungendo l’attuale circa 10%.
Per quanto riguarda il lupo, come specie nel 1971 viene rimosso dalla lista degli animali considerati “nocivi” (Decreto ministeriale Natali) e nel 1976 diviene specie integralmente protetta con il Decreto ministeriale Marcora. Successivamente, con il recepimento delle direttive e delle convenzioni europee (Convenzione di Berna, C.I.T.E.S. e Direttiva Habitat) e con la legge 157/1992 sulla protezione della fauna selvatica, la protezione del lupo diventa sempre più ferrea, quantomeno a livello legislativo.
Pur continuando il fenomeno del bracconaggio, il lupo dagli anni 70 comincia dunque a liberarsi in gran parte dalla forte minaccia del fucile e mette il muso fuori dalla manciata di selve oscure nelle quali si era rifugiato. Affacciandosi dai boschi, si ritrova in un contesto nel quale un grande cambiamento è in atto. L’uomo, che per lunghi secoli aveva occupato gran parte della penisola, stava gradualmente abbandonando i pascoli e parecchie attività rurali, soprattutto in aree montane. Questo fenomeno, avvenuto consistentemente in gran parte d’Italia fino all’inizio del nuovo millennio, ha portato con sé significative conseguenze.
Le terre e i pascoli abbandonati dall’uomo sono stati riconquistati dalla natura e prevalentemente dal bosco, che rappresenta lo stadio finale di una normale successione vegetazionale degli habitat terrestri di pianura, collina e montagna. Nel 900, soprattutto a partire dagli anni 50, si è assistito infatti a un notevole aumento della copertura boschiva che, a sua volta, è risultata una condizione favorevole per un altro incremento: quello degli ungulati. Le popolazioni di grandi erbivori come caprioli, cervi, daini, camosci e cinghiali sono aumentate e si sono espanse. In particolare, è significativa l’evoluzione della presenza di una delle prede preferite del lupo nel nostro territorio: il cinghiale. Sorprendentemente, anche questa specie pochi decenni fa non presentava una popolazione significativamente numerosa. Si pensi che negli anni 50 il cinghiale era completamente assente in diverse regioni italiane, tra cui Emilia-Romagna, Lombardia, Marche e Abruzzo. La vera e propria esplosione delle popolazioni di questo ungulato, anche a seguito di introduzioni a scopo venatorio, avvenne anch’essa nella seconda metà del 900 e costituì un ulteriore vantaggio per l’espansione del lupo.
Un animale sveglio e geniale
Al contesto propizio delineatosi nel Paese si aggiungono un paio di caratteristiche della specie, decisamente favorevoli ad una forte espansione: una sorprendente plasticità e una elevata capacità di dispersione.
Il lupo è un animale estremamente intelligente e adattabile. La specie è difatti storicamente presente in quasi tutto l’emisfero boreale, dai deserti dell’Arabia Saudita fino alle porte del circolo polare artico. La sua plasticità gli permette di occupare qualsiasi territorio, come testimonia la recente presenza di branchi all’interno dei territori comunali di grandi città europee come Stoccolma, Roma e Madrid. Il lupo non ha particolari esigenze, e non necessita di ambienti particolarmente “wild” come molti immaginano.
L’habitat ideale di questo carnivoro è semplicemente qualunque habitat nel quale possa trovare del cibo e nel quale non venga ucciso. E, se da un lato gli è stata garantita una forte protezione a livello legislativo, dall’altro la sua estrema flessibilità gli permette di sfruttare qualunque risorsa trofica. Il lupo non è certamente un predatore schizzinoso; oltre alla dieta mediterranea a base di grandi erbivori nostrani (cervi, caprioli, camosci e cinghiali), non disdegna affatto pietanze esotiche, risultando un potenziale prezioso alleato nel controllo di daini, mufloni e perfino nutrie, risorsa alimentare particolarmente sfruttata in aree planiziali. D’altro canto, è comprensibile che nel suo ampio spettro alimentare ricadano anche specie a noi più care, come animali al pascolo e animali da compagnia.
Questa estrema adattabilità è accompagnata inoltre da un’elevatissima capacità di spostamento, ultimo elemento chiave per comprendere la riconquista del territorio italiano da parte del lupo. Per capirlo occorre conoscere le dinamiche sociali di questo canide, dinamiche che non corrispondono pienamente alla logica di branco, intesa come gruppo di individui subordinati alla famosa “coppia alpha”. In realtà è più corretto parlare di nucleo famigliare; nucleo formato generalmente dalla coppia riproduttrice e dai cuccioli dell’anno, nati in primavera, per un totale di 3-5 individui (più di rado 6 o 7). Può accadere che un nucleo intercettato durante la stagione autunnale risulti più numeroso, data la compresenza dei cuccioli dell’anno, ormai cresciuti, e di giovani nati nell’anno precedente che talvolta tardano a lasciare il gruppo.
Generalmente, costretti a lasciare l’unità famigliare intorno agli 11-24 mesi di vita, i lupi partono alla ricerca di un partner e di un nuovo territorio dove stabilirsi e dar vita ad un nuovo nucleo. Questo fenomeno è chiamato “dispersione” e rappresenta un momento della vita particolarmente delicato in cui un giovane lupo attraversa territori inesplorati, incontrando conspecifici ostili e numerosi ostacoli come fiumi, montagne ma anche autostrade, ponti e città. In questa fase la mortalità è elevata, ma l’istinto di formare una nuova coppia è forte e porta spesso gli individui a percorrere lunghe distanze. Anche grazie all’andatura tipica dei canidi (il trotto) che, rispetto alla semplice camminata, permette una velocità di spostamento maggiore con un dispendio minimo di energia, i lupi possono percorrere in breve tempo parecchie centinaia di chilometri (altro che elicotteri).
Non sono rari i casi documentati di giovani esemplari che hanno percorso distanze sorprendenti in cerca di un partner, come nel caso recente di un giovane lupo nato in Svizzera, radiocollarato e denominato M237; dopo aver lasciato il suo nucleo famigliare, questo giovane maschio si è disperso verso Est e, superando il Danubio a Nord di Vienna, è sceso in Ungheria a pochi chilometri da Budapest, dopo aver percorso più di 1000 km.
Torniamo alla nostra storia e a quella famosa manciata di lupi rimasta negli anni 70. Il contesto, con meno pallottole, una minor presenza antropica e più fonti di cibo si rivela una situazione perfetta per ripartire. E quando a ripartire è il lupo, come abbiamo appena visto, la riconquista è rapida.
Una grande mobilità
Dalle popolazioni appenniniche l’espansione seguì le catene montuose e le aste dei fiumi. Nei decenni successivi il lupo raggiunse l’estremo Sud (Sicilia esclusa) e risalì lungo gli Appennini e le Alpi liguri fino a raggiungere, a cavallo del nuovo millennio, le Alpi in Piemonte, in Francia e in Svizzera. Nel frattempo, qualcosa si muoveva nelle popolazioni del vicino Est. Dagli Stati vicini, principalmente dalla Slovenia, alcuni lupi in dispersione cominciavano a penetrare il territorio italiano in direzione Est-Ovest.
Nel 2012, sui monti della Lessinia (poco a Nord di Verona), si incontrarono Slavc e Giulietta; il primo un maschio originario della Slovenia e la seconda un esemplare italiano proveniente dalle Alpi occidentali. Dall’inizio di questa ricolonizzazione, è il primo incontro documentato tra la popolazione di lupi appenninici italiani e la popolazione dinarica. Nel 2013 la coppia si riproduce per la prima volta e continuerà a farlo fino al 2021, dando alla luce 42 cuccioli accertati. In quegli anni, la riconquista delle Alpi prosegue con un numero sempre maggiore di nuclei riproduttivi nel Nord-Est del Paese, una stabilizzazione e un incremento delle popolazioni piemontesi e una situazione in rapida evoluzione nella parte centrale dell’arco alpino.
Al momento, in Lombardia il lupo è presente con almeno 3 nuclei documentati sull’arco alpino e 4-6 nuclei nell’Oltrepo pavese, ai quali si aggiungono i giovani in dispersione. Il territorio lombardo rappresenta l’ultima frontiera di questo ritorno e, certamente, si assisterà ad un incremento della popolazione sulle Prealpi e sulle Alpi lombarde. Dalle popolazioni confinanti continueranno infatti a giungere giovani esemplari, pronti a stabilirsi in nuovi territori; oltre alle già citate popolazioni, in espansione da Est e Ovest, acquista inoltre sempre maggior rilevanza la dispersione dalle popolazioni svizzere.
Al 2022, a seguito del monitoraggio nazionale ISPRA, sul suolo nazionale sono stimati un minimo di 3.307 lupi (margine di errore 2.945 – 3.608), numero probabilmente in aumento per l’attuale disponibilità di nuovi territori idonei, come le già citate Alpi lombarde.
E adesso? Quale futuro? Nel contesto attuale, il lupo continuerà a svolgere il suo ruolo ecologico andando ad occupare tutti i territori idonei e disponibili. Ricordandoci che non è “cattivo”, ma semplicemente molto intelligente e molto bravo nel suo mestiere, è fondamentale mantenere il giusto timore dettato dalla consapevolezza di una vera conoscenza. In un contesto di naturale ricolonizzazione, e nell’ottica di una convivenza adeguata e limitata alle zone naturali, a noi spetta la scelta di come comportarci davanti a questa affascinante creatura, mantenendo le debite distanze e il dovuto rispetto.
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