È stata ritrovata in Svizzera con la madre la piccola Mia Montemaggi, la bambina francese rapita martedì scorso da tre uomini per conto della genitrice, adepta di una setta fondamentalista e antivaccinista. La bambina era in compagnia della mamma, Lola Montemaggi, la donna alla quale il tribunale aveva proibito di vedere da sola la figlia proprio a causa delle sue convinzioni complottiste.
C’è da riflettere quando una madre è disposta a sacrificare una figlia sull’altare di un’ideologia, quando un credo diventa così pervasivo da far percepire come un pericolo il resto del mondo, chiudendosi in un pericoloso bozzolo autoreferenziale all’interno del proprio gruppo. È sempre così nelle sette, ed è un pericolo che può esplodere anche all’interno delle grandi religioni, quando si scorda la vita per prediligere solo i princìpi, quando si vede la legge ma non ci si immischia nella concretezza quotidiana dei fedeli. Quando un’idea, o un credo, ci toglie i volti e le vite delle persone che abbiamo vicine l’epilogo è sempre triste, anche se per fortuna in questo caso la piccola Mia è stata restituita alla sua vita normale, ai suoi affetti concreti, a quella normalità necessaria perché una fede possa crescere sana.
Una delle caratteristiche della setta è la sua opacità. Nel caso di Lola, la madre di Mia, la setta di riferimento è il movimento QAnon, nato negli Stati Uniti, e che pare abbia a che vedere con l’assalto filo-trumpiano al Congresso del 6 gennaio scorso. È un misto di anticomunismo, di nazionalismo ferito e di vari gradi di razzismo, dal suprematismo bianco all’antisemitismo.
Quando si entra in una setta, di essa agli inizi si sa pochissimo, quanto più ci si addentra tanto più se ne rimane invischiati e diventa difficile uscirne. È così perché i capi di una setta sono convinti che al di fuori dell’appartenenza esplicita e visibile all’organizzazione da loro rappresentata ci sia solo la morte: e quindi tanto vale dare la morte a chi vuole uscirne. Sempre con l’emarginazione e l’esilio, a volte anche letteralmente.
Per fare un esempio, il cristianesimo sa da tempo che ci sono diversi modi per appartenere alla Chiesa, un modo visibile e un altro invisibile. Non è una scoperta recente. Il Catechismo di san Pio X, usando una metafora, spiegava che si può appartenere all’anima della Chiesa oppure che si può appartenere al suo corpo. Per mille motivi – ignoranza, errore, cultura, storia personale – moltissime persone che conoscono Cristo nominalmente non conoscono davvero Cristo e, viceversa, molti che non lo conoscono ce l’hanno nel cuore inconsapevolmente. Per questo nessun cristiano si permette di dire se, nel suo intimo, una determinata persona è davvero vicina o lontana da Dio. Il cristiano lascia, o dovrebbe lasciare, tale decisione a Dio.
Questi principi non solo valgono per ogni religione ma anche per ogni appartenenza. Così dovrebbe comportarsi ogni persona che ha scoperto la vera dimensione spirituale dell’essere umano e quindi della divinità.
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