Gianni Rivera contro il Milan. Quello che sembra il titolo di un film di fantascienza è invece realtà: l’ex simbolo del club rossonero da qualche anno ha iniziato una battaglia legale contro la società perché contesta l’uso scorretto che il Museo di San Siro farebbe di alcuni cimeli esposti, senza riconoscere all’ex calciatore i diritti di immagine. In primo grado, il Milan è stato multato di 200 mila euro mentre in appello la sentenza è stata annullata. Nell’ultimo grado, la Cassazione ha dato ragione all’appello con il Milan soddisfatto e Rivera deluso. L’ex campione ha scelto però di fare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.



“È l’ultima occasione che abbiamo per far valere le nostre giuste ragioni” spiega Rivera a Il Giornale. In Italia giudici d’appello e Cassazione hanno dato torto all’ex centrocampista “ma non ne capiamo le regioni”, spiega. “La situazione è chiara fin dall’inizio”. Quei cimeli, infatti, sarebbero finiti nel museo “senza il mio consenso”. L’ex rossonero ha parlato di “cimeli falsi” ma ci sarebbero anche oggetti veri come “un busto che mi fece Paolo Todeschini che oltre ad essere un bravo giocatore e allenatore era un ottimo scultore. Quell’opera, di mia proprietà, l’avevo dimenticata a Milanello e ora è in bacheca nel museo senza che io sia mai stato interpellato”.



Rivera contro il Milan: “Combatto per tutti i campioni”

Gianni Rivera prosegue la battaglia contro il Milan: sarebbero vari gli oggetti di proprietà dell’ex giocatore dei quali il club si sarebbe appropriato senza neppure chiedere il consenso. Tanti, a detta dell’ex campione, sarebbero addirittura falsi. Tra gli oggetti dei quali il club non si è appropriato c’è il pallone d’oro di Rivera: “Lo tengo in banca, al sicuro. A meno che non sfondino la cassetta di sicurezza” spiega a Il Giornale. Lui ha invece deciso di iniziare questa “guerra” per “tutti quei campioni i cui cimeli vengono sfruttati illegittimamente a fini di lucro”. A suo dire, infatti, se fosse per scopo educativo il museo dovrebbe essere gratuito.



Ora la palla è passata oltre la Cassazione: “La Corte di Strasburgo non ha il Var ma è certo più veloce dei tribunali italiani. Ciò che qui decidono dopo anni, lì lo definiscono in pochi mesi” spiega. Secondo l’ex centrocampista, alcuni cimeli sarebbero addirittura falsi, come raccontato a La Stampa: “Ci sono magliette, scarpe e foto autografate. E nessuno mi ha nemmeno chiesto se fossero davvero miei. Ricordo che all’epoca quando le scarpe da calcio erano consumate, le buttavamo via, non le conservavamo”.