Un morto, centinaia di feriti, arresti di giornalisti e politici oltre che dei semplici manifestanti: la “rivoluzione” anti-regime a Cuba prosegue ormai da giorni e solo ora il mondo sembra accorgersi del dramma che da tempo (non certo in questi giorni) il popolo cubano è costretto a subire. Mancanza di libertà, fame e disoccupazione alle stelle, scarsità di medicine e lotta al Covid-19 che vede all’estero l’invio di medici cubani (anche da noi in Italia) mentre sull’Isola fanno fatica a coprire i turni negli ospedali.



Per il ministro degli Esteri Bruno Rodriguez le proteste che si sono registrate domenica e lunedì nel Paese non sono «uno sfogo sociale», bensì un’azione coordinata da Washington per alimentare tensioni contro il regime di Diaz-Canel (il successore dei Castro), «non c’è stata esplosione sociale per la volontà del nostro popolo e l’appoggio del nostro popolo alla rivoluzione e al suo governo». Eppure la rivoluzione sembra questa volta “contraria” all’ideologica comunista castrista, tanto che giornalisti, oppositori e manifestanti sono stati subito arrestati dalle forze militari non appena hanno appoggiato le istanze della piazza. Il Movimiento San Isidro, a favore di una maggiore espressione artistica a Cuba, ha pubblicato una lista di attivisti che ritiene siano stati fermati dalle autorità; lo stesso hanno fatto dal centro di assistenza legale Cubalex e dal quotidiano “di opposizione” Diario di Cuba.



USA, UE, CHIESA: GLI APPELLI CONTRO IL REGIME

Durissime le reprimende giunte da ogni parte del mondo occidentale contro le violenze perpetrate ai manifestanti, con pestaggi e arresti di massa nel giro di poche ore: «Washington è al fianco del popolo cubano che cerca libertà e rispetto per i diritti umani», ha detto ieri il segretario di Stato Antony Blinken, «moderazione e rispetto per la voce del popolo. È ripugnante la violenza contro manifestanti pacifici». Di contro, diversi Paesi dell’America Latina in sostegno a Cuba parlano di rimozione dell’embargo americano come primo vero atto da fare con urgenza. «Siamo molto preoccupati per gli arresti non solo degli attivisti ma anche dei giornalisti, questo è assolutamente inaccettabile, il posto di queste persone non è in prigione ma nel discorso pubblico. Chiediamo alle autorità cubane di rilasciare immediatamente tutte le persone detenute per convinzioni politiche», è il commento ufficiale dell’Alto Rappresentante Ue Josep Borrell, rilanciate dal portavoce Peter Stano. Infine l’appello lanciato dalla Chiesa di Cuba, che tiene conto ovviamente di una possibile “mediazione” tra le parti in lotta: «Comprendiamo che il popolo ha il diritto di manifestare le sue necessità, le sue aspirazioni e speranze, e a esprimere pubblicamente che alcune delle misure adottate lo stanno colpendo seriamente». I vescovi attaccano l’assoluto immobilismo del regime alle istanze del popolo, «Vediamo che non solo le situazioni si aggravano ma che si procede verso una rigidità e un inasprimento delle posizioni che potrebbero avere conseguenze imprevedibili con danno di tutti noi». In chiusura però un appello lanciato anche al popolo cubano, a firma Conferenza Episcopale cubana: «non si giungerà a una soluzione favorevole con imposizioni né facendo appelli allo scontro. Le crisi non si superano con la contrapposizione ma cercando un’intesa, perché la violenza genera violenza, l’aggressività di oggi apre ferite e alimenta rancori per domani, che costerà molto lavoro superare. Di qui l’invito a tutti a non aggravare la situazione di crisi e a cercare insieme una giusta soluzione con serenità di spirito e buona volontà, esercitando l’ascolto, la comprensione, la tolleranza».

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