Cinque anni dopo la morte di Giorgio Faletti, la moglie Roberta Bellesini ricorda lo scrittore, musicista e artista. Lei ne custodisce il ricordo, ad onor del vero mai sbiadito. E infatti riemerge una intercettazione relativa al bunga-bunga in cui Nicole Minetti inspiegabilmente lo definiva un «comunista testa di cazzo». All’epoca lui reagì con la sua proverbiale ironia: «Comunista non direi, testa di cazzo certamente». La sua più grande paura era la damnatio memoriae, come raccontato dalla moglie nell’intervista a La Verità. «Una sera di tanti anni fa se ne uscì con questa frase: “Sai qual è la mia più grande paura? Quello di essere un giorno dimenticato”». Il loro primo incontro davanti ad un bar ad Asti, ma solo molti anni dopo cominciarono a frequentarsi: c’erano 19 anni di differenza e venivano da mondi diversi. Ma non è mai stata gelosa del suo passato. «Visto che lui ripeteva che, prima di conoscermi, la metà dei soldi li spendeva per donne e auto sportive, e l’altra metà la sprecava, mi sono sempre detta: per fortuna che all’epoca non lo conoscevo».
ROBERTA BELLESINI, MOGLIE GIORGIO FALETTI LO RICORDA: LA MALATTIA E DIO
La prima vita professionale di Giorgio Faletti fu quella di comico, quindi approdò in tv, ma questa cominciò ad andargli stretta, così si dedicò alla musica. Nel 1994 lasciò tutti a bocca aperta al Festival di Sanremo con “Signor tenente”. «Capì che poteva arrivare al cuore del pubblico anche senza far ridere», ha raccontato la moglie Roberta Bellesini a La Verità. Nel 2002 pubblicò “Io uccido”, il suo primo romanzo. Un grande successo, ma ebbe un ictus il giorno dell’uscita. A tal proposito, la vedova ha parlato anche dei gravi acciacchi del marito: «Soffrì di una grave forma di ipertiroidismo, poi ebbe l’ictus, quindi un infarto, fino al tumore, che scoprimmo con una risonanza magnetica per via dei forti dolori alla schiena che non lo abbandonavano mai, dovuti a una serie di ernie». Era il gennaio 2014, in sei mesi Giorgio Faletti non c’era più: dal cancro al polmone alle metastasi al fegato e alla colonna vertebrale. Vano il viaggio a Los Angeles per un ciclo di cure. Ma lui fino alla fine era convinto di farcela. Anche il rapporto con la fede era particolare: «Se era credente? A modo suo: critico nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche, ma con una parte spirituale molto forte dentro di sé. Prova ne sia la canzone “L’assurdo mestiere”, una sorte di preghiera laica, che riflette la sua speranza che oltre questa vita ce ne sia un’altra, e che un qualche Dio esista».