Il regista Roberto Andò si è raccontato in un’intervista al Corriere della Sera a poche settimane dall’arrivo al cinema del suo film “Il bambino nascosto”, ispirato ad un libro da lui stesso scritto in cui si parla di mafia: “È ancora una piaga sociale”, sottolinea. Palermitano di nascita, ma da tempo residente a Napoli. È consapevole di cosa rischino i giovani che si avvicinano alla malavita. “Ragazzini di 9-10 anni vengono coinvolti nella delinquenza che appare come unica prospettiva, altrimenti sei un nulla: nuddu mischiato col nuddu”. Una condizione che ad ogni modo non è comune soltanto al Sud.
Roberto Andò nella sua carriera ha raccontato più volte gli spaccati di questo mondo. Nel recente periodo ha girato, ad esempio, un tv-movie su Letizia Battaglia, fotografa palermitana che ha immortalato il periodo delle stragi. “È stata la prima donna a entrare in un mondo di colleghi maschi e a sopravvivere in un mestiere difficile. Attraverso la sua biografia rivedo tutti i morti per i quali non mi sono pacificato”. E così ricorda anche i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma c’è un ma. “Bisogna stare attenti a raccontare queste storie sul potere mafioso, il rischio è di esaltare il fascino del male, che attira più del bene”.
Roberto Andò: “Mafia è ancora piaga sociale”. Il consiglio di Sciascia
Roberto Andò, dopo avere sottolineato che la mafia è ancora una piaga sociale, ha raccontato ai microfoni del Corriere della Sera del suo allontanamento da Palermo. La scelta fu anche il frutto del consiglio del suo padre letterario, Leonardo Sciascia, che conobbe grazie a Elvira Sellerio. “Nacque tra noi una speciale amicizia e la mia incondizionata ammirazione nei suoi confronti: è stato il primo autore siciliano che ha affrontato nelle sue opere il problema della mafia. Mi diceva: “Perché rimani a Palermo, perché non te ne vai? Vattene, vai via da qui!”. Ma la mafia, purtroppo, non è solo una questione siciliana”.
Nonostante ciò, il regista non si pente del trasferimento nel capoluogo partenopeo. “Palermo è più triste di Napoli, ha una cupezza esasperata, è come se elaborasse continuamente un lutto, prevale il senso di morte. Napoli gioca con la morte, ha la capacità di inventare sé stessa, è un cantiere aperto e il suo centro è proprio il teatro, una forma di vita che mi mette in perenne stato di eccitazione”, ha concluso.