Roberto Baggio si è raccontato in una bella intervista rilascia ai microfoni del Corriere della Sera. «E’ difficile essere numero 10? Sì, lo è sempre stato – esordisce il Divin Codino – era già complicato ai miei tempi. Eravamo sempre discussi. Zola, ad esempio, per giocare è andato a Londra. Ora ce ne sono di meno, sono un genere in via di estinzione. Bisognerebbe stare dentro il mondo del calcio di oggi per capire le ragioni di questa eclissi della fantasia. Io non ci sono. So solo che per me quel numero corrispondeva al desiderio di fare le giocate, di inventare, di sentirsi liberi». Anche Baggio ha subito questo processo: «Quando giocavo in nazionale sono uscito dal mondiale e non mi hanno più convocato. Sembrava che il calcio non avesse più bisogno di fantasia, che considerasse l’estro un reato. Tutto era finito in mano alla tattica. Le partite non le vincevano più i giocatori, le vincevano gli allenatori».
Paolo Rossi è stato il suo modello «andavo in bicicletta con mio padre a vederlo. Ed era sempre uno spettacolo. Dal punto di vista del gioco mi innamorai di Zico. Lo sognavo di notte». Ma quante volte gli allenatori gli hanno gridato di tornare, intesa come la necessità di coprire in difesa? «Qualche volta è successo – replica Roberto Baggio – ma io facevo finta di non avere sentito. Lo facevo, ma per aiutare i miei compagni, non per astrusi dettati tattici». Roberto Baggio ha vissuto tante gioie ma anche tanti dolori: «Sono stati tanti. Quello fisico, conosciuto all’inizio della mia carriera, poteva davvero costarmi caro. La sofferenza era terribile ma ho imparato a conviverci, solo in quei momenti rimetti a posto le gerarchie della vita e ne capisci il senso profondo».
ROBERTO MAGGIO, L’INFORTUNIO CHOC E IL RIGORE DEL ’94
Tanti gli infortuni subiti, a cominciare da quello spaventoso del 5 maggio del 1985: «Fu un incidente stupido, avevo appena fatto gol, mi sono buttato in scivolata per un contrasto, ho toccato la palla ma quando mi sono rialzato era come se mi fosse scoppiato un ginocchio. Un dolore impensabile. Ci sono voluti due anni per tornare a giocare. Ma mi ha segnato per la vita. È stato un compagno fedele, non mi ha mai lasciato». E ancora: «Quando mi sono svegliato dall’anestesia e ho visto come era ridotta la gamba mi sono sentito svenire. Mi hanno tolto il muscolo vasto mediale, quello che sostiene ginocchio e gamba, ed era come se mi avessero tagliato i muscoli e ridotto la gamba. Il mio braccio era più grande della mia gamba. Avevano fatto un buco nella tibia, con il trapano, allora unico modo in cui si poteva attraversare il muscolo. Per fissarlo nella parte esterna mi misero 220 punti di sutura con le graffette di ferro. Io non potevo prendere gli antinfiammatori perché ero allergico. Se dormivo non sentivo dolore, ma da sveglio era una tortura, avevo dentro qualcosa di incandescente. Piangevo tutto il giorno, non mangiavo. Ho perso dodici chili. Quando mi svegliai e vidi la mia gamba in quello stato dissi a mia madre che, se mi voleva bene, doveva ammazzarmi».
Roberto Baggio ammette di aver giocato poche volte senza il dolore: «A Brescia la mattina mi svegliavo chiedendomi quale dei due mi avrebbe fatto meno male quel giorno. È stata dura, davvero. Ma ne è valsa la pena, eccome. E forse nel mio modo di giocare c’era il segno di quella fatica. E anche il fatto che oggi sia così sereno, a posto con la mia coscienza e il mio passato, felice di quello che provo, forse ha le sue radici nella sofferenza e nella lotta per vincerla». Con Roberto Baggio non si poteva non nominare il tristemente noto calcio di rigore nella finale dei mondiali del 1994 Italia-Brasile: «La finale dei mondiali del 1994 a Pasadena, Italia-Brasile. Non la posso dimenticare. Quella sì vorrei rigiocarla. Siamo arrivati un po’ cotti, avevamo fatto i supplementari con la Nigeria e mezz’ora in più, a quelle temperature, ti stronca. Se fossimo stati più lucidi forse sarebbe stata un’altra partita». Dopo aver sbagliato il rigore? «Cercavo un badile, mi volevo sotterrare, ca*zo. Mamma mia, mamma mia. Non si possono cancellare cose così. Quella partita, proprio Italia-Brasile, l’avevo sognata e immaginata tante volte quando ero bambino. Avevo tre anni ma la sconfitta del 1970 non riuscivo a dimenticarla. Volevo vendicare Riva e gli altri. Era il mio sogno, davvero. E quando è finita così mi è crollato il mondo addosso». Sulle magliette regalate: «Sono stato anche un pirla, ho dato via un sacco di roba nei cambi di maglia. Pensa che sono andato a cena con Boninsegna, gli ho chiesto una delle sue maglie. Lui ne ha tenute molto poche. Però mi ha regalato la sua, roba da brividi, e io gli ho dato una mia del mondiale. Ecco, la maglia azzurra è quella che preferisco su tutte. Quella del ’70 e tutte le altre, di sempre». Sul papà: «Lui realizzava serramenta in alluminio. Era un genio, sapeva fare tutto. Era nato per lavorare, aveva una passione infinita. Erano gli uomini di una volta. Come tutti quelli della sua generazione, che hanno ritirato su il Paese dopo la guerra. Lo hanno fatto con il lavoro, non con i cellulari».
ROBERTO MAGGIO, L’USCITA DAL MONDO DEL CALCIO E GLI ALLENATORI
Ma come mai Baggio è uscito dal mondo del calcio? «Voglio vivere questi anni in modo semplice, facendo cose semplici, godendo le mie passioni con la mia famiglia, i miei amici. E rispettando il mondo del calcio, che mi ha dato tantissimo. Sono stato due anni al settore tecnico della nazionale. Ma contavo meno del due di coppe quando regna bastoni. Avevo fatto un progetto per i giovani, ma le mie idee e le loro non combaciavano. Ne ho preso atto».
Sul suo rapporto difficile con gli allenatori: «Io sono sempre stato scomodo. Quando giocavo ho incontrato la fase della tattica esasperata. Chi aveva il mio ruolo non rientrava negli schemi di moda. Ormai schieravano tutti il 4-4-2 e noi eravamo qualcosa che stonava. Poi se segnavamo dicevano che aveva vinto la squadra di Baggio, di Zola, di Mancini e gli allenatori soffrivano. Se oscuri gli altri, se entri in conflitto con gli ego, diventa tutto più difficile.… Io ero pesante. Per questo non facevo interviste, non volevo apparire. La gente mi voleva bene, avevo grandi attenzioni e questo dava fastidio a molti». Ma se incontrasse Baggio bambino cosa gli direbbe? «Di essere meno buono. Io, se tornassi indietro rifarei tutto quello che ho fatto. Credo di aver attraversato la mia vita con umiltà e coerenza. Per questo ho pagato dei dazi, ma va bene così. Qualche volta, per bontà o quieto vivere, ho seguito i consigli di altri e non le mie sensazioni». In chiusura ritorna quel maledetto rigore: «Un errore che non rifarei? Sì, c’è. Il rigore di Pasadena. Non riesco a liberarmene».